La testimonianza di Rose Busingye in occasione dell’udienza di Papa Francesco a Comunione e Liberazione: “la paternità nella fede è ciò che mi ha conquistato a Cristo, e quindi alla Chiesa”.
ROSE BUSINGYE: “COMUNICO L’AMORE ETERNO DI DIO”
“Santità, sono qui perché figlia e quindi non posso rivolgermi a Lei se non come ad un padre che mi guida. La paternità nella fede è ciò che mi ha conquistata a Cristo, e quindi alla Chiesa. Anche io, dall’Africa, ho incontrato la grande famiglia ecclesiale attraverso lo sguardo di don Giussani, che mi ha educata a scoprire me stessa attraverso il riconoscimento di una Presenza misteriosa. Presenza che con il tempo ha assunto sempre più i tratti inconfondibili del volto di Cristo, dentro la compagnia di Comunione e Liberazione. Il contenuto di me è Cristo. ‘Io sono Tu che mi fai ora’. Prima volevo bene ad un Gesù che non c’entrava con me, che non c’entrava con la mia pochezza, ma incontrando don Giussani ho scoperto che ero degna dell’abbraccio amoroso di Cristo”.
“Io sono un nulla, amato fin nelle viscere – ha proseguito Rose Busingye -. Io sono un’infermiera e lavoro con donne ammalate di Aids, nelle baraccopoli di Kampala, dove la povertà è enorme. Ho sempre desiderato che anche loro, nella loro condizione, potessero scoprire che sono amate e volute da Cristo. Mi riscopro così a comunicare l’amore eterno di Dio anche facendo una semplice puntura ad un paziente. Così in tutti questi anni, i miei fratelli e le mie sorelle, povere, ammalate, miserevoli agli occhi dei più, hanno scoperto che appartenendo a Cristo tutto apparteneva loro, i figli, i mariti, lo spaccare le pietre da mattina a sera, che è la loro occupazione, le scuole che hanno desiderato e costruito per il loro figli”.
ROSE BUSINGYE: “NESSUNO SI DEVE SENTIRE SOLO O ABBANDONATO”
“Le nostre mamme – ha continuato Rose Busingye – desiderano che nessuno si senta solo o abbandonato. Per questo, nel 2005, quando seppero di tante persone che stavano male per la catastrofe causata negli Stati Uniti dall’uragano Katrina, hanno voluto devolvere tutto il frutto del loro lavoro di spaccapietre di settimane per aiutare le famiglie americane. Queste nostre poverissime sorelle ugandesi volevano contribuire a sostenere l’America: la carità non fa calcoli. Per lo stesso motivo, quando hanno sentito della guerra in Ucraina hanno immediatamente cominciato a dare quel poco che avevano. I soldi raccolti li hanno descritti come poche e povere lacrime offerte al cuore di Dio perché potesse convertire i loro cuori e i cuori di chi sta facendo la guerra”.
“Hanno guardato al Papa, al loro padre, con cui si sentono libere di piangere di fronte a questo male. Come mi disse una volta don Giussani: ‘Con la stessa forma della tua vocazione, di memor Domini, tu gridi nella folla, a tutti, che Cristo è il significato di tutto. Che è Cristo che salva’. Non ho vergogna di parlarle così, perché durante tutto il suo pontificato lei ha sempre parlato e parla di Cristo in un modo che coincide con la mia vita, e per questo che mi sento figlia sua. Grazie”.
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