Ci eravamo lasciati all’udienza su Alex Schwazer di settembre con un valore inverosimile buttato lì dall’avvocato della Wada: un 14.013 pg/uL di concentrazione del Dna in un’urina vecchia di 15 mesi, dato definito dal perito “fuori da ogni parametro” e giustificabile solo con una manipolazione. Mancava peraltro la documentazione. Ieri è arrivata e abbiamo avuto finalmente la certezza che non hanno confuso urina con sangue né che il valore sia frutto di un diverso metodo di quantificazione della concentrazione del Dna: al Centro universitario genetico-forense di Losanna hanno applicato la stessa metodologia e hanno usato le stesse macchine del Ris di Parma.



Eravamo inoltre in sospeso di un perché. Perché un test antidoping “negativo” appartenente a Schwazer e datato giugno 2016, giacente al Laboratorio di Roma (e non distrutto come da protocollo), viene richiamato a Losanna 15 mesi dopo per sottoporlo a un test genetico, tra l’altro senza l’autorizzazione dell’atleta? Ieri la risposta della Wada: “Perché il nostro team intelligence and investigation ha ricevuto informazioni di un possibile scambio di campioni di urina forniti da alcuni atleti (incluso Alex Schwazer) sottoposti a test durante una gara”.



Quale gara? Quella di Sesto San Giovanni del 1° maggio 2010. Sì, avete capito bene: agli 007 della Wada viene il sospetto che possa esserci stato uno scambio di provette 7 anni dopo la gara. Ma pensa un po’…

La lampadina della memoria si accende proprio quando la magistratura di Bolzano comincia a reclamare le urine incriminate di Schwazer. Ma dov’è l’informativa dell’Intelligence tra gli allegati prodotti in udienza dalla Wada? Assente! E dov’è la documentazione e la catena di custodia delle provette a cui è stata comparata geneticamente l’urina di Alex? Assente!

Se quell’urina negativa del 2010 apparteneva a Schwazer, come mai 7 anni dopo era ancora conservata e non smaltita da settembre 2010 come da protocollo? A meno che la comparazione fu fatta non con la sua urina precedente, ma con quella del norvegese Eric Tysse, arrivato secondo in quella gara e trovato positivo al Cera.



In ogni caso sorge un’altra domanda: come mai per una analisi genetica non è stato utilizzato il prelievo di sangue, come sarebbe stato logico fare, e si è ricorso invece all’urina? E come mai, dopo simile comparazione, nessuno ha pensato di avvisare Tysse del risultato, visto che ancora in tempi recenti reclamava invano quel sangue e quelle urine per una analisi del Dna del suo test positivo del 2010?

L’impressione che non ce la contino giusta è molto, molto forte, come la sensazione che quel test sia servito a ben altro che a fugare il sospetto di uno scambio di provette.