Che il tasto dolente per gli accusatori di Schwazer fossero i valori abnormi di concentrazione di Dna nelle sue urine incriminate lo si poteva facilmente intuire, così come appariva scontato che la nuova perizia presentata ieri al Tribunale di Bolzano avrebbe peggiorato le cose per chi lo vuole condannato.
Ma quando stai perdendo la partita devi pur inventarti qualcosa per ribaltare l’inerzia della sconfitta. Ecco dunque la Wada tirare fuori dal cilindro un documento che avrebbe dovuto mettere in guardia il giudice: “Guarda caro Pelino, che quei picchi oltre i 2000 picogrammi per microlitro che avete registrato nelle urine dopate del marciatore, non sono così fuori norma. Pensa un po’ che noi nel Laboratorio di Losanna nell’ottobre 2017 abbiamo testato urine di Alex Schwazer vecchie di 15 mesi e abbiamo trovato una concentrazione di Dna addirittura di 14.013 pg/uL”.
Ullallà, che bomba! Il perito del tribunale, il colonnello dei Carabinieri del Ris Giampietro Lago, si è fatto due conti e ha esclamato: “Ma se in un anno degrada dell’87% dobbiamo ipotizzare che il valore iniziale nell’urina fresca di Schwazer fosse superiore a 100.000!! Inumano…”.
Ecco appunto, l’aveva detto qualcuno che quell’atleta veniva da Marte. Scherzi a parte, ci è venuta spontanea una riflessione. Ma è possibile che l’Agenzia Mondiale Antidoping sia così rozza e in mano a degli scappati di casa per fabbricare un dato palesemente falso? Detto tra parentesi, quel documento non ha uno straccio di report. Ci è venuto allora un dubbio. Ma non è che si sono sbagliati e hanno spacciato per test sulle urine un test invece sul sangue? E se così fosse, come mai a settembre 2017 sentono l’esigenza di cercare il Dna nel sangue di Schwazer? Forse perché a quell’epoca è imminente la decisione della Corte di appello di Colonia sulla consegna delle provette incriminate di Schwazer alla magistratura italiana? E allora che cercavano in quel sangue? Dna di Schwazer da estrarre e pompare da qualche altra parte? Magari in una o entrambe le provette del marciatore? E rendere così invisibile il Dna di qualcun altro?
Cattivi pensieri, al momento senza riscontro. Resta però l’autogol clamoroso della Wada e avrà un peso se si arriverà al processo. Intanto però l’avvocato della Wada Stefano Borella, forse fiutando l’aria che tira, comincia a prendere le distanze dal Laboratorio di Colonia insistendo con Lago che non venga definito Laboratorio Wada. Più serio il tentativo del perito genetista della Iaaf, dott. Giardina, di contestare l’interpretazione dei dati della perizia. “Quasi il 15% del campione dice l’opposto, cioè che nel tempo il Dna nell’urina non degrada” osserva. “Già, ma quelli omogenei a Schwazer, cioè sopra i 500 pg/uL” sono univoci e al 100% degradano tutti” rispondono il genetista Portera e l’avvocato Brandstätter, che vacilla solo quando la sua richiesta di comprovare la autenticità delle mail dei dirigenti Iaaf che parlano di complotto si scontrano con le obiezioni del pm Bramante: “In un incidente probatorio non si possono chiedere quelle che una volta erano chiamate rogatorie internazionali”.
La difesa di Schwazer punta a stravincere con un modello di analisi statistica condotto su 2 anni di invecchiamento delle urine testate nelle sperimentazioni di Lago e per questo chiede un secondo tempo supplementare per la perizia. Nei prossimi giorni la risposta del Gip.