L’indagine su Alex Schwazer è finita. Hanno tentato di prolungarla con il solito colpo basso usato già in altre udienze: la WADA nominando un perito a perizia conclusa, la World Athletics (ex Iaaf) consegnando al momento dei saluti dopo quattro ore di dibattimento una memoria del perito, peraltro presente e parlante in aula. Questa produzione peritale post mortem dell’indagine preliminare la leggerà – se ne avrà voglia – il PM Giancarlo Bramante a cui il GIP Walter Pelino ha rimesso gli atti, tra i quali quelli del perito del Tribunale, che di fatto ha definitivamente chiuso la porta a ogni possibile spiegazione scientifica dei valori di DNA riscontrati nelle urine “dopate” di Schwazer, 10 volte superiori alla media, definiti “valori incompatibili con l’esperienza maturata dalla osservazione della concentrazione del DNA nelle urine della popolazione di riferimento”.
Le analisi su 39 atleti Fidal di discipline di resistenza inoltre hanno sgombrato il campo alla favoletta che superallenamento e stress agonistico ad alto livello possano provocare un rialzo spropositato della concentrazione del DNA nelle urine: “Non introduce nessuna interferenza incrementale”, sintetizza il perito.
C’era poi l’insinuazione che potesse essere proprio il doping ad alterare i valori di concentrazione del DNA. Qui il perito accusa la WADA di aver impedito la sperimentazione su campioni risultati positivi al doping, aggiungendo che la tutela della privacy – dietro cui si era trincerata la WADA – sarebbe stata comunque garantita con il previo consenso degli interessati. Anche su questo terzo quesito il giudizio è comunque netto: “Si prende atto non compaiano nella letteratura scientifica esaminata indizi tali da generare tale ipotesi”, nel caso chiedere ai giapponesi (studio Aoki, 2014) che hanno bombardato 112 maschiacci di sana e robusta costituzione con 180 mg di testosterone a testa, non rilevando alcuna significativa variazione nella concentrazione del DNA. Anche perché gli stessi valori balordi sbandierati dalla WADA appaiono addirittura inferiori in uno Schwazer “dopato” rispetto a uno Schwazer non dopato. I dati – per l’appunto – forniti su un prelievo di giugno 2016 delle urine di Schwazer, analizzato nel 2017 a Losanna e che nelle intenzioni dell’Agenzia Mondiale Antidoping avrebbero dovuto servire sul piano processuale a normalizzare un dato che normale non è.
Ebbene i 14013 pg/uL buttati lì sul tavolo dell’Udienza di un anno fa vengono definiti dal perito del Tribunale “senza documentazione tecnica affidabile”, “non ammissibili” e “pacificamente e del tutto inverosimili”. Ma paradossalmente scagionano pure Alex dall’ipotesi che quei valori abnormi derivino da una patologia: infatti uno che il giorno del prelievo incriminato si fa 40 km di allenamento e non risulta avere mai chiesto autorizzazione a trattamento farmacologico, può restare patologico per 6 mesi e nel frattempo vincere un Mondiale di marcia?
Dopo questo bagno di sangue per la WADA, ma anche per la World Athletics, si va verso una scontata archiviazione della posizione dell’indagato Schwazer. A questo punto il Gip dovrà motivarla e la sensazione è che non si morderà la lingua, mettendo di fatto pressione sul PM perché avvii – a meno che non l’abbia già fatto di suo – un’inchiesta su chi e come abbia manipolato le urine del marciatore e sull’impressionante catena di complicità che le successive vicende hanno rivelato. Forse questa catena rappresenta uno scandalo ancor maggiore della manipolazione in sé! Stavolta sul banco degli imputati finiranno gli stessi accusatori di Schwazer, non sigle di organismi sportivi però, ma nomi e cognomi a cui d’ora in poi serviranno buoni avvocati per limitare i danni penali, non certo quelli di immagine ormai irreparabili, con buona pace dei tanti, troppi fiancheggiatori di casa nostra.