Tanti nodi da sciogliere. C’è attesa per l’esito del Consiglio europeo di Versailles, cominciato ieri, in cui si parla, come ha spiegato Charles Michel, di: “Rafforzare le nostre capacità di difesa; ridurre la nostra dipendenza energetica, in particolare da gas, petrolio e carbone russi; costruire una base economica più solida”. Nei giorni scorsi si è anche tornati a ipotizzare l’introduzione di Eurobond, stavolta finalizzati agli investimenti in energia e difesa. Si arriverà al varo di questi titoli di debito comune o si raggiungeranno soluzioni di compromesso con chi invece vi si oppone da sempre come la Germania e i Paesi del Nord?
Abbiamo chiesto a Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, di aiutarci a delineare meglio la situazione. “Credo occorra anzitutto una premessa. La guerra in Ucraina rappresenta per l’Occidente e l’Europa uno spartiacque con conseguenze più profonde e di lungo termine rispetto al Covid. In pochissimi giorni Putin è riuscito a rinvigorire la Nato, a ricompattare l’Ue e a rinsaldare l’asse transatlantico. Tutto questo implica che d’ora in poi le politiche energetiche e le catene di valore dovranno essere compatibili, se non addirittura apertamente subordinate, alle esigenze di sicurezza nazionale. Si tratta di una prospettiva nuova, o meglio del recupero di una prospettiva che era stata accantonata negli scorsi decenni contraddistinti dall’incalzante globalizzazione dell’economia mondiale”.
Quali sono le conseguenze pratiche per l’Europa di questa prospettiva nuova?
In primo luogo, dovrebbe esserci un immediato aggiornamento dei Pnrr. Nonostante, infatti, siano stati finalizzati un anno fa, il nuovo contesto geopolitico li ha resi in parte obsoleti e privi dell’efficacia che dovrebbero avere. È dunque necessario un loro aggiornamento con un conseguente riscadenzamento e una dilatazione dell’arco temporale di attuazione. Se abbiamo bisogno di cambiare le nostre politiche energetiche, cosa che in Italia è palese visto che scontiamo una miopia durata diversi decenni, occorre dotarsi di infrastrutture addizionali che vanno finanziate.
E reperire le risorse necessarie può essere in certi casi un problema…
Esatto, ci sono alcuni Stati europei chiave come il nostro con un debito pubblico così elevato da avere margini di manovra ristretti per poter finanziare in proprio questi investimenti addizionali rispetto a quelli già previsti nel Pnrr, dove l’obiettivo è la decarbonizzazione, non la sicurezza nazionale e l’indipendenza energetica dalla Russia. Va anche detto che nella misura in cui si vuole mantenere la compattezza geopolitica del blocco europeo, vitale per contenere l’aggressività russa, è importante fornire delle compensazioni, quanto meno implicite o indirette, per i Paesi più in difficoltà. In altri termini, se l’Italia risultasse maggiormente colpita, rispetto ad altri, dal fatto di non potersi più approvvigionare di materie prime ed energetiche dalla Russia, l’Europa dovrebbe prevedere un meccanismo di compensazione.
Quale può essere questo meccanismo di compensazione?
Per esempio, la possibilità di emettere eurobond che consentano di finanziarsi a costi ridotti per spese legate alle politiche energetiche e alla difesa. Da tutto questo discende che un altro dossier su cui probabilmente verrà raggiunto un compromesso è quello relativo al Patto di stabilità: non può essere reintrodotto l’anno prossimo, rappresenterebbe una sorta di camicia di forza rispetto agli investimenti necessari e sarebbe in netta contraddizione rispetto all’emergenza geopolitica che stiamo vivendo. Credo, quindi, che sulla revisione dei Pnrr e sul Patto di stabilità si raggiungerà probabilmente un compromesso. Il dossier più importante e dirompente è però un altro.
A che cosa si riferisce?
Alla possibilità che l’Ue si indebiti per finanziare delle priorità comuni, funzionali a mantenere la compattezza geopolitica del blocco e a cementarne l’alleanza con gli Stati Uniti. È chiaro, per esempio, che l’embargo sul petrolio e il gas russo introdotto da Washington metterà pressione all’Europa perché si muova nella stessa direzione. Dobbiamo, quindi, prepararci a una rapida rimodulazione delle priorità della nostra politica energetica e per farlo occorre mettere in campo, in tempi relativamente brevi, anche nuovi investimenti. In questo modo, si darebbero, seppur in via indiretta, compensazioni ai Paesi che maggiormente risentono dei contraccolpi delle sanzioni e che stanno comunque compiendo un grosso atto di lealtà nei confronti dell’Ue e degli Usa.
Al posto che rivedere i Pnrr sarebbe possibile varare un pacchetto complementare per energia e difesa?
Sì, potrebbero essere previsti degli addendum ai Pnrr focalizzati sull’indipendenza energetica dalla Russia e sul potenziamento della difesa. L’aspetto dirimente rimane il finanziamento a costi sostenibili e compatibili con il nostro quadro di finanza pubblica.
Dovrebbero però essere senza le condizionalità previste attualmente nel nostro Pnrr…
Credo che la condizionalità sia già insita nel fatto che gli investimenti finanziati con questi addendum devono garantire l’indipendenza energetica dalla Russia e aumentare le spese per le difesa in linea con quelle che sono le politiche e la guidance della Nato ai propri Paesi membri.
Rispetto alla riforma poc’anzi auspicata del Patto di stabilità, le Linee guida per la politica di bilancio per il 2023 diffuse la scorsa settimana da Bruxelles vanno nella direzione giusta?
L’orientamento espresso dalla Commissione riguarda la flessibilità circa il sentiero temporale per ridurre il debito pubblico. Si tratta di indicazioni benvenute, ma in questo momento ci stiamo confrontando con una minaccia che probabilmente sarà di lungo periodo. Dunque, occorre fornire quanto prima chiarezza circa l’orizzonte pluriennale per le politiche di bilancio degli Stati dell’Ue. In questo momento la sicurezza nazionale, l’esigenza di proteggere i nostri confini e quelli dei nostri partner ha una valenza superiore rispetto ai parametri di Maastricht che le attuali vicende confermano essere ancora più vetusti. Dobbiamo, in sostanza, ritarare la politica economica e il quadro di vincoli comunitari in modo che sia compatibile con gli strumenti che l’Ue nel suo complesso metterà in campo per fronteggiare la minaccia che abbiamo di fronte.
Cosa intende dire?
Che se occorrono maggiori investimenti nelle politiche di approvvigionamento energetico e nella difesa, è difficile farli quadrare con dei parametri che sono restrittivi. Occorre che nella riforma del Patto di stabilità venga salvaguardata l’esigenza di effettuare gli investimenti necessari e credo che la Presidenza francese sia già all’opera su questo.
In una precedente intervista aveva evidenziato come l’Italia, in futuro non molto remoto, rischiasse di trovarsi “costretta” a ricorrere al Mes. Quello che sta accadendo cambia questo scenario?
Credo, per lo meno mi auguro, che l’esigenza di fronteggiare la minaccia che in questo momento origina dalla Russia, e in prospettiva dalla Cina, metta l’accento sui fattori di unità e di coesione all’interno dell’Ue piuttosto che di divisione. Quindi, probabilmente, in questo contesto d’emegenza l’enfasi sul Mes dovrebbe attenuarsi.
Conviene comunque discutere quanto prima della ratifica del Mes?
Di fatto l’Italia è l’unico Paese dove la riforma del Mes è stata messa ai margini per essere tirata fuori all’ultimo momento come fatto compiuto. Io resto dell’idea che sia importante avere un dibattito aperto su questo tema, perché riguarda in modo diretto l’opinione pubblica che ha, peraltro, una visione molto precisa al riguardo.
(Lorenzo Torrisi)
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