Com’è noto, la Commissione europea ha deciso di aumentare i dazi sulle importazioni di auto elettriche cinesi. I rialzi della tassazione scatteranno presumibilmente dal 4 luglio. Le nuove imposizioni fiscali avranno un peso diverso, a seconda che i costruttori auto abbiano collaborato o meno durante l’inchiesta avviata da Bruxelles lo scorso 4 ottobre per appurare se l’industria dell’auto cinese riceve sussidi statali, così da alterare la concorrenza. Secondo quanto comunicato dall’Ue, i dazi provvisori, che si sommano all’imposta attuale del 10%, saranno applicati così: Byd 17,4%; Geely 20%; Saic 38,1%. Le altre case vedranno un aumento del 21%.



Dal 2016, almeno, tutte le economie avanzate stanno rispondendo alla riconfigurazione della globalizzazione puntando sulla riorganizzazione delle attività produttive e sul consolidamento della domanda interna. Lo stanno facendo gli Usa in modo evidente – che sulle auto cinesi ha recentemente portato le imposizioni fiscali al 100% -, ma anche la stessa Cina.



Più volte, Ursula von der Leyen ha parlato di “dazi verdi”, sia per orientare il consumo sul prodotto locale, sia perché si ritiene anche che i prodotti di importazione possano essere penalizzati anche dal punto di vista delle condizioni ambientali e sociali dei Paesi di origine. A ogni modo, BYD in particolare dal 2026 produrrà anche in Ungheria, e quindi in Ue. E altri player dell’industria cinese, tra cui Saic (con Mg), si stanno organizzando per avviare la loro produzione dentro i confini del Vecchio continente. Pare inevitabile, pertanto, che una quota di mercato sarà conquistata dai produttori cinesi che nella tecnologia elettrica sono più avanti.



È tuttavia singolare che quanto fatto sino a oggi dall’Ue – con la complicità dei grandi costruttori dell’auto – costringa la Commissione a ritornare sui suoi piani per il timore di aver avvantaggiato il concorrente cinese. D’altra parte, vi è anche una certa diffidenza – a parte nei Paesi del nord Europa – con la quale il mercato e i consumatori stanno accogliendo l’auto elettrica. Le auto ibride sono ben premiate dal mercato e il diesel continua a registrare numeri interessanti. Ecco perché la scommessa dell’Ue sul Total electric a partire dal 2035 è stata un azzardo, anche in ragione del fatto che per quanto riguarda gli approvvigionamenti di materie prime siamo molto dipendenti dal concorrente che più temiamo, proprio la Cina.

Ed è proprio il problema delle materie prime, dentro la grande incertezza internazionale dovuta a guerre e conflitti, che rende gli approvvigionamenti complicati e i costi non controllabili, con rischi di inflazione non facilmente governabile. Da qui difficoltà di far partire grandi opere infrastrutturali – necessarie se vogliamo spingere la mobilità elettrica – la cui mancanza è all’origine della diffidenza dei consumatori.

Come uscire da questa situazione? Non c’è alternativa a rivedere il quadro normativo vigente (il Fit for 55) e a riabilitare le altre tecnologie (ibrido, diesel di nuova generazione, e-fuels, biocarburanti, idrogeno, ecc.). D’altra parte, inevitabilmente i cinesi conquisteranno quote di mercato per più ragioni: 1) con loro dobbiamo accordarci se vogliamo le materie prime (in particolare Terre Rare e litio); 2) in Europa ormai si producono poche auto piccole a basso costo, potrebbe essere questo il segmento di mercato da lasciare a loro; 3) Byd in particolare dal 2026 produrrà anche in Ungheria (e quindi in Ue) e altri player dell’industria cinese, tra cui Saic (con Mg), si stanno organizzando per avviare la loro produzione dentro i confini del Vecchio continente: eventuali dazi saranno in questo caso inutili; 4) l’economia cinese è in contrazione e l’Europa stessa non può permettersi un default di Pechino.

Non è un caso che Germania, Ungheria e altri Paesi dell’Europa centro-orientale si sono già detti contrari per timore di ritorsioni da parte di Pechino: ogni anno, in Cina, vengono infatti immatricolati oltre 4 milioni di autoveicoli europei (in particolare Volkswagen, Bmw e Mercedes), fattore importante anche per il nostro made in Italy. Le importazioni europee dalla Cina, per quanto in forte crescita, si attestano a circa 500mila, nel 2025 sono previste 600mila, 1,7 milioni nel 2026. Inoltre, in Europa sanno che di Pechino in questa fase non si può fare a meno – in particolare per Terre Rare e materie prime – e che il declino cinese è ormai avviato: va in qualche modo gestito.

Nonostante i dazi, quindi, Ue e Cina continuano ad avere interessi convergenti.

Twitter: @sabella_oikos

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