La situazione per l’Europa non appare rosea, sia dal punto di vista politico, dato il risultato delle elezioni francesi, che da quello economico, stante anche la dipendenza dalle forniture di gas russo resa ancora più evidente dagli effetti che hanno avuto i tagli operati da Gazprom nei giorni scorsi.

Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, teme però maggiormente quello che potrà essere l’esito delle elezioni di midterm negli Stati Uniti. «Probabilmente a novembre, come successo altre volte in passato, il partito del Presidente non otterrà un risultato positivo. C’è da sperare però che il ribilanciamento di potere non rafforzi Trump: non sarebbe un bel segnale dopo quello che abbiamo visto in quel famoso 6 gennaio dell’anno scorso a Capitol Hill».



Professore, torniamo all’Europa, dove gli spread sono tornati a essere un problema.

Se dovessi azzardare una previsione direi che per necessità o buona volontà si andrà verso una politica coordinata che possa consentire ai Paesi che dovessero, come accaduto in passato, finire sotto tiro di avere una qualche forma di protezione. Del resto, se c’è una cosa che la crisi dei debiti sovrani ci ha insegnato è che i problemi di un Paese grande come l’Italia possono facilmente diventare problemi collettivi dell’Europa.



La modalità concreta di un intervento in grado di proteggere un Paese può avere diverse sfumature, si va dal Pepp al Mes

Occorre distinguere tra controlli e ragionevoli indicazioni, come quelle del Next Generation Eu, che mirano a favorire la crescita del Paese. Spero, quindi, ci sia un dialogo per fare in modo che in caso di aiuti condizionati non si arrivi a privilegiare manovre restrittive. Se pensiamo all’Italia, infatti, non dobbiamo dimenticare che ha un potenziale produttivo molto più elevato di quanto poi realizza concretamente. E favorire la crescita del nostro Paese è un qualcosa che porta vantaggio anche agli altri.



Tra le ipotesi sul tavolo c’è anche quella di legare il nuovo scudo anti-spread della Bce alla riforma del Patto di stabilità e crescita. Cosa ne pensa?

Credo sarebbe opportuno lasciare slegate le due cose, anche perché c’è il rischio di creare un bazooka fin troppo potente rispetto all’obiettivo che si vuole perseguire. Meglio avere uno strumento specifico per ogni obiettivo piuttosto che uno più ampio chiamato a coprire diverse esigenze.

La situazione politica di alcuni Paesi europei, compresi Francia, Italia e Germania, rischia però di complicare tutto, non trova?

Sì, è vero, ma credo che il buon senso politico alla fine, volente o nolente, prevarrà, perché se non si raggiungesse alcun tipo di accordo verrebbe favorito solamente chi ha tutto l’interesse ad avere come controparte un’Europa debole.

A chi si riferisce?

In queste settimane abbiamo una contrapposizione a volte anche molto accesa con lo stato maggiore della politica russa, quindi un indebolimento dell’Europa diventerebbe una notizia da festeggiare a Mosca.

A questo proposito la riduzione delle forniture di gas ha reso evidente che l’Europa è ancora lontana dall’autonomia energetica. E questo è un problema per il sistema industriale di Paesi come Germania e Italia.

Sì è vero, si è in ritardo rispetto a quel che si pensava. Sembra però che le sanzioni stiano avendo impatti sull’economia russa: le restrizioni mordono, l’inflazione è alta, nonostante le materie prime energetiche non provengano dall’estero.

In altre occasioni ha ricordato come sia l’inflazione la vera minaccia per l’economia. Quando si potrà parlare di picco raggiunto, potendo quindi sperare in una successiva riduzione dei prezzi?

È possibile che vi si arrivi in tempi rapidi, anche perché non bisogna dimenticare che una delle cause dell’inflazione va ricercata nella forte domanda aggregata americana in un momento in cui l’offerta, per via delle diverse problematiche relative alle catene del valore globale, erano in difficoltà. In Europa la situazione è un po’ diversa da quella degli Stati Uniti, anche perché differenziata da Paese e Paese.

Cosa dovrebbe fare l’Europa per cercare di affrontare questo problema?

Va anzitutto ricordato, specialmente alla Germania che ha spinto e spinge sui mercati asiatici, che in questo momento occorre guardare al mercato europeo, altrimenti si continuerà a trascurare il potenziale produttivo di alcuni Paesi, soprattutto quelli deboli, che vengono accusati di avere problemi e squilibri macroeconomici. In realtà, il primo vero squilibro da affrontare, per un Paese come il nostro, è relativo al gap tra capacità effettiva e potenziale produttivo, un gap che occorre colmare.

In che modo?

Ci sono certamente interventi importanti che possono aumentare la produttività, ma anche cambiamenti apparentemente banali possono fare la differenza. Per esempio, fare in modo che le scuole non chiudano nella prima metà di giugno. Può sembrare una cosa banale, ma adeguarsi al calendario scolastico di altri Paesi europei sarebbe una grande innovazione che gioverebbe anche agli stessi bambini e ragazzi che oggi, in non poche occasioni, si ritrovano a non essere seguiti durante la giornata perché i genitori sono impegnati a lavorare e non possono magari permettersi l’iscrizione a un centro estivo. Certo, gli insegnanti potrebbero anche giustamente lamentarsi delle basse retribuzioni, ma nulla vieta che il loro adeguamento possa essere accompagnato da un’innovazione così importante.

(Lorenzo Torrisi)

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