Mentre appare sempre più probabile che la Bce cominci presto il percorso verso un rialzo dei tassi di interesse e tra i Paesi membri dell’Ue si continua a discutere sugli strumenti per affrontare gli effetti della guerra in Ucraina sull’economia e si ipotizza una riforma dei Trattati, con l’abbandono delle decisioni all’unanimità per passare a quelle a maggioranza qualificata, il Mes, alla fine della scorsa settimana, ha diffuso un Discussion Paper, firmato da due suoi economisti, con il quale propone la creazione di un “fondo di stabilità” che eroghi prestiti a fini della stabilizzazione fiscale degli Stati in una fase in cui vi è maggiore probabilità di shock asimmetrici significativi.
Abbiamo chiesto un commento a Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, che in premessa ricorda che “la possibilità di avere un’istituzione che supporti la stabilizzazione fiscale di uno Stato membro era un tassello mancante nell’architettura dell’Eurozona, come è emerso in modo drammatico con la crisi debitoria. A questa mancanza si è offerta una soluzione per il tramite dell’Efsf, prima, e la successiva istituzione del Mes nel 2012. Tuttavia, le modalità con cui si è inteso offrire una soluzione istituzionale al bisogno emerso non sono state soddisfacenti”.
In questi dieci anni, quante volte è stato utilizzato il Mes?
Ha erogato solo tre programmi. Il primo, tra il 2012 e il 2013, diretto alla Spagna, non macroeconomico, ma mirato a sostenere il settore bancario, il secondo rivolto a Cipro nel 2013 e concluso nel 2016, l’ultimo alla Grecia, dal 2015 al 2018. Dopodiché le sue linee di credito non sono state più attivate nemmeno all’apice della crisi pandemica, nonostante la condizionalità apparentemente leggera e il costo molto ridotto. Il Mes si trova quindi in una crisi esistenziale e questo Discussion paper rappresenta un tentativo per cercare di renderlo ancora utile.
Cosa pensa della proposta contenuta nel Discussion Paper?
Non vedo un tentativo di mettere ben in chiaro quali siano gli aspetti di discontinuità rispetto sia alle linee di credito già esistenti, sia alle prassi finora seguite. In particolare, mi riferisco ad aspetti sotto enfatizzati come la valutazione della sostenibilità del debito del Paese richiedente. In altre parole, non è chiaro il livello di intrusione o di condizionalità associato a questa linea di credito. Sinora, gli standard molto rigorosi di condizionalità richiesti per accedere ai finanziamenti del Mes hanno scoraggiato i potenziali richiedenti a meno che non si trovassero già in una condizione “disperata”. Del resto, anche all’apice della crisi pandemica molti ministri delle Finanze e premier dell’Eurozona, esponenti di Governi di centrodestra e di centrosinistra, avevano evidenziato proprio che il Mes era utile solo per quei Paesi che si trovavano in uno stato di fortissima difficoltà, evocando in qualche modo lo stigma legato a una richiesta di aiuti al Mes, anzi ulteriormente rafforzandolo.
In effetti anche in Italia ci fu una marcia indietro sul Mes sanitario…
Sì, sia l’allora presidente del Consiglio Conte che il ministro dell’Economia Gualtieri, dopo aver ammiccato per parecchio tempo alla prospettiva di accedere al Mes sanitario, alla fine avevano formulato proprio queste critiche, sottolineando lo stigma legato ai programmi del Mes, che avrebbe avuto effetti nefasti per un Paese con un debito pubblico così elevato, per il quale l’accesso al mercato a costi sostenibili rimane fondamentale. Di fatto l’elemento dello stigma e il rigore delle condizionalità sono gli aspetti cruciali che hanno determinato un disinteresse verso le linee di credito del Mes e che nella proposta contenuta nel Discussion Paper non vengono chiaramente affrontati. Va peraltro sottolineato che negli ultimi decenni il dibattito sulla condizionalità legata ai programmi di intervento di istituzioni internazionali si è molto evoluto e il consenso converge sul fatto che una condizionalità particolarmente rigorosa, e imposta dai creditori, non è tipicamente associata al buon esito di un programma. Questa lezione non sembra essere mai stata fatta propria dal Mes, che tra l’altro sembra avere un ulteriore elemento tipico.
A che cosa si riferisce?
Il Fondo monetario internazionale è stato creato anche per depoliticizzare i prestiti internazionali a favore di un Paese terzo, che altrimenti tenderebbero a caricarsi di una valenza politica, se effettuati direttamente da altri Stati, senza l’intermediazione di un’istituzione multilaterale. Questa dimensione non ha, però, trovato molto spazio nelle dinamiche istituzionali che sottendono le decisioni di intervento e la prassi del Mes. Basta pensare al fatto che l’azionista di riferimento, la Germania, richiede un passaggio parlamentare prima di poter dare il semaforo verde a un programma di intervento. E questo, per definizione, intensifica la politicizzazione di un programma. Va detto che non è inusuale che l’azionista di riferimento richieda una protezione ulteriore, ma, nell’architettura istituzionale del Fmi, questo è stato risolto riconoscendo agli Stati Uniti potere di veto solo sulle decisioni straordinarie, per le quali l’azionista sovente richiede un passaggio parlamentare (aumento delle quote, per esempio). Quelle relative ai programmi di intervento sono, invece, considerate decisioni ordinarie o “esecutive” per le quali l’azionista di riferimento non chiede il conforto di un passaggio parlamentare, contribuendo a depoliticizzare l’intervento in discussione.
Se la proposta contenuta nel Discussion Paper si concretizzasse rappresenterebbe una sorta di aggiornamento del Mes sanitario rispetto alla situazione attuale, salvo che nella somma massima erogabile, pari al 4% del Pil. È così?
Benché nel paper non venga definito chiaramente come questa linea si differenzi rispetto a quelle già esistenti, emerge che potrebbe erogare un importo sino al 4% del Pil del Paese richiedente, con un costo contenuto, in linea con il Mes sanitario. Quello che rimane più nell’ombra è il rigore e l’estensione della condizionalità legata a questa nuova linea di credito. Si tratta di un aspetto non di poco conto, perché la condizionalità eccessivamente rigorosa ha operato fino a oggi nel senso di scoraggiare la richiesta di nuove linee di credito o quanto meno limitarle ai Paesi che erano in una fase di crisi avanzata, che però non sarebbero i destinatari di questo programma, dato che si parla di Paesi non sottoposti a un programma di aggiustamento macroeconomico.
Se l’Europa non varerà un nuovo Recovery fund questo programma potrebbe diventare attrattivo?
Perché questa proposta possa avere trazione, il Mes dovrebbe anzitutto specificare in modo molto trasparente qual è l’effettiva portata della condizionalità associata. Inoltre, se questa linea di credito potesse essere associata a un intervento particolarmente mirato della Bce, questo potrebbe influire positivamente sulle valutazioni degli Stati membri. Se uno di essi si trovasse, infatti, in una situazione emergente di difficoltà, ma non di difficoltà conclamata, e l’intervento del Mes fosse seguito da un argine finanziario costruito dalla Bce, questo chiaramente rappresenterebbe un incentivo a richiederlo. Va, però, detto che nella misura in cui l’intervento fosse condizionato a una valutazione sulla sostenibilità del debito, questo diventerebbe un aspetto particolarmente problematico per l’Italia.
Perché?
Perché la valutazione della sostenibilità del debito normalmente è soggetta all’esistenza di equilibri multipli, e soprattutto per l’Italia vorrebbe dire aprire le porte a un commissariamento esterno che sarebbe complicato da accettare. In altre parole, sarebbe difficile per un Paese sistemico come l’Italia appaltare la valutazione della sostenibilità del proprio debito a terzi. Questo è un aspetto particolarmente sensibile dal punto di vista politico, che se non chiarito in modo trasparente rischia di vanificare nuovamente l’intervento del Mes. Peraltro, nella situazione attuale l’Eurozona non può permettersi un’istituzione di fatto non operativa. Ma affinché diventi operativa, dobbiamo avere delle proposte che si conformino alle esigenze dei Paesi azionisti, non Paesi che si devono conformare alle direttive dell’istituzione di cui sono azionisti.
Il Mes, con la sua dotazione finanziaria di 500 miliardi di euro, non potrebbe essere la base di un fondo più simile al Next Generation Eu?
Assolutamente. Proprio per questo il dibattito sul rigore della condizionalità è saliente. Nel Ngeu l’erogazione delle risorse si basa su un piano effettivamente formulato dal Paese richiedente e su un mutuo dialogo tra il Paese stesso e il soggetto che eroga i fondi. Nel Mes, invece, di fatto c’è un soggetto che elabora la condizionalità e che la impone a un Paese che ha perso l’accesso al mercato e non ha altra via d’uscita. Perché il Mes possa ricoprire con efficacia la funzione di cui ci sarebbe bisogno nell’Eurozona va definito una volta per tutte il ruolo della condizionalità, che va di pari passo anche con la depoliticizzazione dei suoi interventi. Non si capisce perché a fronte di lezioni chiare emerse nella letteratura internazionale sulla condizionalità da qualche decennio, il Mes non ne abbia fatto tesoro. E ci ritroviamo così con un’istituzione inattiva. C’è bisogno di un dibattito sul Mes diverso da quello seguito finora che sembra puntare a far passare i progetti di riforma un po’ sottobanco.
(Lorenzo Torrisi)
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