Le previsioni economiche estive della Commissione europea hanno visto un’importante revisione al rialzo per l’Italia rispetto a quelle primaverili: si è passato infatti dal +4,2% al +5% per il 2021. Questa è senz’altro una buona notizia. Tuttavia, come ricorda Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fmi, c’è un rovescio della medaglia che non va trascurato, ma che richiede anzi l’attenzione del nostro mondo politico.
Cos’altro dicono le previsioni di Bruxelles sul nostro Paese?
La buona notizia è che c’è stata una revisione al rialzo del Pil 2021 dello 0,8%, portando la crescita prevista al 5%, ma nonostante questo l’Italia recupererà i livelli pre-crisi solo verso la fine del prossimo anno. L’Eurozona nel suo complesso, invece, lo farà entro la fine dell’anno in corso e non entro il primo trimestre del 2022 come invece emergeva dalla precedente batteria di previsioni di Bruxelles. Viene dunque ulteriormente confermata l’aspettativa, che avevamo già espresso in precedenti interviste, di un’Italia situata nel gruppo di coda dei Paesi dell’Eurozona.
Di fatto l’economia italiana tornerà ai livelli pre-Covid con quasi un anno di ritardo rispetto alla media dell’Eurozona.
Esattamente, ma le dirò di più. Dalle previsioni della Commissione emerge che se l’Italia crescerà del 5% quest’anno e del 4,2% il prossimo, la Spagna, altro Paese duramente colpito dalla pandemia, registrerà un +6,2% nel 2021 e un +6,3% nel 2022. La Francia, invece, quest’anno farà registrare un +6%. Detto questo, la revisione al rialzo del nostro Pil è naturalmente un’ottima notizia e la Commissione spiega che è dovuta a una riduzione dell’incertezza degli operatori economici, che hanno finalmente potuto riprendere le loro attività in seguito a un approccio più pragmatico introdotto da Draghi nei confronti delle riaperture. Il Premier aveva parlato di “rischio calcolato” ed evidentemente sta pagando.
Stante questo quadro, c’è il rischio che le politiche fiscali e monetarie a livello europeo diventino meno espansive?
Il Commissario Gentiloni ha sottolineato l’importanza di mantenere politiche di sostegno all’attività economica e di rivedere il Patto di stabilità e crescita in modo coerente rispetto a questo principio. Detto questo, però, il pericolo è che i Paesi che recupereranno prima degli altri i livelli pre-crisi, nel ritirare prima lo stimolo fiscale possano generare contraccolpi negativi per gli altri Paesi, come il nostro, che sono più indietro nel percorso di recupero.
In che modo?
Se c’è una politica fiscale espansiva generalizzata nei Paesi europei, ciò genera un’esternalità positiva per l’Italia. Se invece importanti economie europee cominciano a ricalibrare la loro politica fiscale, questo in qualche modo crea un contraccolpo. È importante che il permanere di politiche di sostegno sia generalizzato, anche per consentire ai Paesi più fragili di poter uscire dalla crisi a condizioni meno onerose.
E cosa potrà cambiare nelle politiche della Bce?
Chiaramente la buona notizia che l’Eurozona recupererà i livelli pre-crisi in anticipo deve essere incorporata dalla Bce, la quale potrebbe valutare di ritarare la sua politica iper-espansiva rispetto alle tempistiche originariamente prefigurate.
Per l’Italia diventa quindi importante lavorare da subito per modificare le regole del Patto di stabilità e crescita.
Sì. Per l’Italia la reintroduzione delle regole del Patto di stabilità avrebbe un effetto negativo duplice, sia diretto che indiretto. Infatti, una stance fiscale rigorista a livello europeo genererebbe un ulteriore contraccolpo per la congiuntura italiana, perché verrebbero meno le esternalità positive che una stance fiscale più espansiva genererebbe per l’economia europea nel suo complesso. A maggior ragione se la Bce dovesse ricalibrare la propria politica monetaria.
Le previsioni della Commissione europea sull’inflazione non sembrano destare preoccupazioni. Di rischio inflattivo si parla però da mesi: dobbiamo temere qualcosa?
Dalle previsioni che ha formulato la Commissione emerge un quadro europeo che permane ancorato a una dinamica inflattiva ancora moderata. Il rischio è semmai rappresentato da un’eventuale fiammata inflazionistica negli Stati Uniti che porterebbee a un irrigidimento nella politica monetaria della Fed e conseguentemente a un aumento dei tassi di interesse che si trasmetterebbe anche ai mercati europei. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia è particolarmente sensibile a ogni lieve variazione dei tassi stante la sua mole di debito pubblico. Potrebbero quindi esserci implicazioni potenzialmente rilevanti per la finanza pubblica in un quadro già particolarmente fragile.
(Lorenzo Torrisi)
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