Mentre in Europa prosegue il dibattito sulla riforma del Patto di stabilità, dall’Ocse arriva uno studio sui trend di lungo periodo che parlano di un tasso di crescita globale in continua diminuzione. Basti pensare che nei Paesi Ocse+G20 si passerà dal +3% annuo del periodo pre-Covid al +1,7% entro il 2060. E mentre saranno Cina e India a rappresentare la maggior parte della crescita globale, con quest’ultima che sorpasserà verso la fine degli anni 30 il Dragone asiatico, a passarsela assai male sarà l’Eurozona, che verrà superata dall’India tra circa dieci anni e che vedrà la sua principale economia, la Germania, superata dall’Indonesia a metà dell’attuale decennio.



Come ci spiega Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano, “quello elaborato dall’Ocse è un esercizio sulla dinamica potenziale del Pil pro capite in uno scenario base che risulta utile a livello informativo, perché ci dice in che direzione sta andando l’economia, incorporando alcuni cambiamenti i cui effetti non vediamo adesso, ma che si faranno sentire”.



E in che direzione sta andando l’economia globale?

Verso un rallentamento complessivo, ma differenziato. La spinta maggiore a questa crescita più contenuta arriverà principalmente da due Paesi: Cina e India. Un elemento che può cambiare non poco questa situazione è data dai benefici della transizione ecologica, che non sembrano essere incorporati nell’elaborato dell’Ocse.

A che tipo di benefici si riferisce?

Ipotizzando una stabilizzazione del quadro climatico si potrebbero contenere alcuni danni seri evitabili, come i fenomeni estremi e scarsamente prevedibili. Per fare un esempio, se dovesse diminuire la quantità di raccolti distrutti da siccità e alluvioni, questo rappresenterebbe un elemento di non scarso rilievo, dato che potrebbe influire su altri fattori, come le migrazioni. La transizione ecologica ha dei costi, ma porterà a dei benefici che non sembrano essere del tutto considerati dall’Ocse, anche se è piuttosto complicato stimarli. Quello che invece viene incorporato è un problema prevedibile e non certo trascurabile.



Quale?

In tutti i Paesi considerati la popolazione in età di lavoro tenderà a diminuire nei prossimi anni. Questo aspetto di dinamica demografica ha implicazioni non da poco. Infatti, se diminuisce il numero di lavoratori e aumenta quello dei pensionati, il ruolo della politica fiscale diventa molto più complicato.

Perché?

Perché si tratta di trasferire una quantità crescente di risorse tra diverse generazioni che vivono nello stesso tempo. Esiste, quindi, accanto a una transizione ecologica, una transizione della politica fiscale di cui non si tiene abbastanza conto. Se prendiamo sul serio, come credo vada fatto, questo tipo di esercizi di scenario, è chiaro che l’attuale modalità di trasferimento di risorse tra giovani e anziani non sarà più adeguata.

Questo problema demografico è particolarmente evidente in Italia

Non solo. Secondo l’Ocse, in Italia la popolazione in età lavorativa dopo il 2030 diminuirà dello 0,4% l’anno, ma se guardiamo all’Eurozona la situazione non è tanto diversa: il calo annuo sarà dello 0,3%.

Se, come ha detto poco fa, questa situazione demografia pone una sfida importante alla politica fiscale, non se ne dovrebbe tenere conto nel dibattito in corso sulla riforma del Patto di stabilità?

Questa sfida diventerà sempre più complicata con il passare degli anni. Se in questo lasso di tempo si continueranno a usare le stesse regole che sono state usate finora, la situazione diventerà insostenibile.

L’approccio attuale potrebbe tradursi in un innalzamento dell’età pensionabile per non far scendere la quota di popolazione in età lavorativa oppure in un aumento delle imposte per reperire le risorse da trasferire da una generazione all’altra. Quali strumenti di nuovo tipo bisognerebbe mettere in campo?

Bisogna cercare di arrestare la diminuzione della quota di popolazione in età di lavoro e questo lo si può fare provando a incentivare la natalità. Questo è il momento di farlo, adesso più che mai. Siamo in una fase in cui nel nostro Paese aumentano le cosiddette famiglie unipersonali, una definizione che sembra un ossimoro. Se questo trend proseguisse ci sarebbero ricadute negative anche per la politica fiscale.

Pensa che si dovrebbe intervenire a livello europeo per cercare di incentivare la natalità?

Sì, i numeri ricordati poc’anzi ci dicono che se l’Italia è mesa male, il resto d’Europa non se la passa certamente bene.

Abbiamo parlato dell’Eurozona, ma se guardiamo agli Stati Uniti, secondo l’Ocse, verranno superati a livello economico dall’India solo dieci anni dopo…

Questo studio dell’Ocse sembra cascare a fagiolo sia perché ricorda un trend importante mentre si discutono le regole europee di politica fiscale dei prossimi anni, sia perché mostra come potrebbero cambiare gli equilibri globali che sembravano consolidati nell’arco di soli due decenni. Spero che in Europa ci si dia subito da fare per provare ad arrestare il declino demografico ed economico.

(Lorenzo Torrisi)

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