Non sono mancati riferimenti a questioni economiche importanti nel Discorso sullo stato dell’Unione di Ursula von der Leyen, che ha ricordato che “nelle prossime settimane la Commissione riavvierà il dibattito sul riesame della governance economica, nell’intento di costruire, ben prima del 2023, un consenso sulla via da seguire”. Un compito non semplice considerando che 8 Paesi membri hanno già creato un fronte “rigorista” sottolineando l’importanza di ridurre deficit e debito in tutta l’Ue.
Anche Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, evidenzia come esistano molti elementi di incertezza sul futuro delle regole del Patto di stabilità e crescita, «a cominciare dalle imminenti elezioni tedesche. I sondaggi riflettono un quadro molto confuso ed è difficile capire se ci sarà o meno un Cancelliere socialdemocratico, se Spd e Cdu/Csu potranno avere da sole una maggioranza o se invece avranno bisogno dei Liberali piuttosto che dei Verdi e di conseguenza il grado di possibile coesione della coalizione di governo».
La situazione migliore sarebbe quella di un’altra “grande coalizione” tra Spd e Cdu/Csu?
Direi di sì, perché tutto sommato è quella che garantisce maggiore stabilità. Possibilmente ci vorrebbe anche un Cancelliere un po’ più dinamico della Merkel, che, con tutto il rispetto che nutro nei suoi confronti, è stata negli ultimi tempi poco propositiva. La Germania ha infatti bisogno di proposte, di una visione di lungo termine che le consenta di recuperare le posizioni perse a livello mondiale negli ultimi 15 anni. Basti pensare che l’industria dei pannelli solari era di fatto basata in Germania, che se l’è vista portare via dalla Cina.
E questo rilancio della Germania deve passare dall’Europa?
Sì. È un’operazione che Berlino non può fare da sola. I tedeschi sono poco più di 80 milioni, i cittadini dell’Ue quasi 450. Sono numeri che contano e in giro per il mondo non ci si potrà ormai più presentare come singolo Paese membro, ma bisognerà essere rappresentati dall’Europa. Mi pare di percepire, infatti, che avremo un accentramento maggiore di prerogative a Bruxelles, come di fatto sta già avvenendo sulla sanità e come occorrerà fare, lo si è intuito da diverse dichiarazioni, sulla difesa. In questo senso non dobbiamo dimenticare una cosa.
Quale?
Che ha preso il via la Conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe essere un momento cruciale, anche, ma non solo, riguardo il futuro del Patto di stabilità. Probabilmente occorrerà trovare un compromesso e quegli otto Paesi “rigoristi” otterranno qualche contropartita come accaduto per i “frugali” nelle trattative sul Recovery fund. Nessun Paese membro del resto ha il coraggio di mettere veramente in crisi l’Europa.
Poco più di un anno fa, in un’intervista, ci aveva detto che il futuro delle regole del Patto di stabilità sarebbe dipeso molto dalla situazione in Francia. È ancora di quest’idea?
Sì. In Francia ormai è iniziata la campagna elettorale per le presidenziali, l’appuntamento con le urne è vicino e Macron non è certo di poter essere rieletto.
In Francia si vota appunto in primavera. Ci sarà poi il tempo sufficiente per arrivare a un compromesso sul Patto di stabilità entro la fine del 2022?
Questo è un altro fronte di grande incertezza, perché con il rialzo dell’inflazione che c’è stato in questi mesi non è che ci si possa permettere di temporeggiare molto. Se l’inflazione sale troppo occorrerà intervenire sui tassi.
E questo chiama in causa la Bce.
Certo, ma si collega anche alla situazione dei conti pubblici degli Stati membri. Già la Bce ha fatto capire che comprerà meno titoli di stato nel programma Pepp e per l’Italia questo vuol dire trovare altri acquirenti, probabilmente offrendo un rendimento più alto.
Lei teme che il rialzo dell’inflazione possa non essere temporaneo?
È difficile poterlo dire. Ci sono infatti dei fattori che sembrano essere temporanei, ma sono presenti da alcuni mesi e non scompaiono. In particolare, sembra stiano saltando le catene del valore in tutto il mondo. Ad esempio, ci sono problemi nei trasporti marittimi che stanno determinando un rialzo dei prezzi di alcuni beni. Sebbene abbiano tutta la parvenza di criticità temporanee, esse continuano a persistere.
Torniamo al futuro dell’Europa e del Patto di stabilità: l’Italia che ruolo può giocare in questa partita?
L’effetto Draghi è stato molto forte, sia nella ripartenza del Paese che nel dare obiettivi e ha anche accresciuto il ruolo dell’Italia in Europa. Il Premier conosce sia i leader che i meccanismi della politica europea ed è molto ascoltato. Di fatto l’Italia ha in questo momento una chance che non ha mai avuto negli ultimi tempi.
Conviene allora che Draghi resti Premier…
Direi che sarebbe bene restasse a palazzo Chigi fino alla scadenza naturale della legislatura. Molto però dipenderà anche da come andranno le prossime elezioni amministrative. Si sta parlando molto della crescita del Pil che l’Italia può realizzare quest’anno. Non dobbiamo però dimenticare che se anche tornassimo ai livelli pre-Covid abbiamo ancora una lunga strada per recuperare quelli di inizio secolo. Nel 2000 il nostro Pil pro capite era superiore a quello medio dell’Ue di quasi il 20%, mentre nel 2020 era inferiore del 4%. Questo dà l’idea del recupero che c’è da fare. Ci vogliono obiettivi e conduttori di lungo termine. Per questo penso che si debba dare a Draghi la possibilità di impostare le riforme del Pnrr da palazzo Chigi.
(Lorenzo Torrisi)
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