1. L’ancora di salvezza: la Banca centrale europea

Nella riunione del 4 giugno la Banca centrale europea ha confermato i tassi di interesse: il saggio (la misura) di riferimento sui meccanismi di rifinanziamento da parte delle banche nazionali resta allo zero mentre sui depositi presso la Bce stessa è negativo (-0,5%). Sono state decise alcune modifiche al (nuovo) «pandemic emergency purchase programme» (Pepp: decisione Bce del marzo scorso sul programma di acquisto d’emergenza di titoli del settore pubblico e privato), che sarà incrementato di 600 miliardi di euro di acquisti di titoli di Stato nazionali e portato quindi a 1.350 miliardi di euro, dai 750 precedentemente previsti. Il Consiglio direttivo (Board) della Banca ha valutato che l’orizzonte temporale del programma sarà esteso almeno fino alla fine di giugno 2021, mentre i proventi saranno reinvestiti almeno fino alla fine del 2022.



La Bce ha precisato che gli acquisti continueranno a essere condotti in maniera flessibile, fino a quando giudicherà superata la fase di crisi dovuta alla pandemia. Parallelamente è stato confermato che gli acquisti nell’ambito dell’«asset purchase programme» (App: programma d’acquisto di titoli pubblici e privati dell’Eurosistema – il «Quantative Easing» – iniziato a metà 2014 e temporaneamente affiancato dal Pepp, che ha caratteristiche parzialmente diverse) continueranno a un ritmo mensile di 20 miliardi di euro e proseguiranno fin quando la Bce inizierà ad alzare i tassi di interesse di riferimento.  



La Presidente della Bce Christine Lagarde ha segnalato che resta centrale, in particolare sulla base delle stime di crescita dei prezzi per il biennio 2020/2021, il tema della deflazione, cioè della diminuzione generale dei prezzi con l’innesco di una spirale di rinvio degli acquisti per la previsione di ulteriori cali e con ripercussioni conseguenti sui ricavi attesi dalle imprese. L’obiettivo è perciò quello tradizionale di andare in direzione di un livello di inflazione che tenda al 2%; ma secondo le nuove stime l’inflazione resterà assai bassa – specialmente in seguito al forte calo registrato dai prezzi dei prodotti energetici – ed è ora indicata allo 0,3% per il 2020, allo 0,8% per l’esercizio successivo, all’1,3% per il 2022 (contro più alte previsioni precedenti e dunque al di sotto della definizione di «stabilità dei prezzi» richiesta dai Trattati che disciplinano l’Ue).



Il Pil europeo (quello di tutti i 27 Stati membri) dovrebbe diminuire dell’8,7% nel 2020, per poi rimbalzare del 5,2% nell’anno successivo e del 3,3% nel 2022. Si noti che il welfare continentale europeo corrisponde a circa il 50% di tutto il welfare mondiale, accompagnato tuttavia da un Pil che in Europa (prima della pandemia) risultava il 25% di quello mondiale, con una popolazione europea già ben al di sotto del 10% di quella del mondo intero, comportando così evidenti problemi di sostenibilità.

È stato segnalato anche l’ovvio, forte, peggioramento del mercato del lavoro negli ultimi mesi, ma con la precisazione che l’economia dovrebbe aver raggiunto il minimo nell’appena trascorso mese di maggio e che le nuove misure serviranno per sostenere l’economia al termine della pandemia dovuta al coronavirus, beninteso nel rispetto del mandato della Bce. Le proiezioni di quest’ultima indicano una forte contrazione dell’economia europea nel secondo trimestre del 2020 e una ripresa nei trimestri successivi: l’entità del rimbalzo è tuttavia al momento difficilmente prevedibile.

2. L’Italia in balìa delle onde imprevedibili del destino?

La politica monetaria della Banca centrale europea (una delle sette istituzioni – cioè organi principali – dell’Unione europea, secondo il dettato dell’art. 13 del Trattato istitutivo dell’Ue) tiene in piedi “la baracca”, oppure, se vogliamo dirlo meglio, impedisce il disastro economico-finanziario (default) particolarmente del nostro Paese, la cui situazione è piuttosto precaria nell’area euro (costituita da 19 Stati sui 27 membri dell’Ue) sia dal punto di vista del debito pubblico, sia dal punto di vista della crescita economica. Per quanto concerne il debito pubblico eravamo a circa il 135% del Pil a fine 2019 e oggi stiamo correndo, certo anche a motivo della pandemia, verso il record storico dall’unità d’Italia: quel 160% rispetto al Pil maturato nel 1920. Bell’anniversario secolare! Pessima evocazione di quanto è seguìto a quell’anno (marcia su Roma nel 1922, avvento al potere del partito fascista col ventennio che ha condotto al disastro bellico).

E a proposito di ventenni: per quanto concerne la crescita economica l’Italia è l’unico Paese fra 37 Stati membri dell’Ocse – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici – a esser ancora al di sotto del proprio Pil di un ventennio fa: persino la Grecia si trova per quest’aspetto in miglior posizione! Pare estremamente difficile non attribuire questi numeri a peculiarità italo-italiane piuttosto che all’Ue o all’euro. Pare impossibile non dover guardare alla nostra comunità nazionale per ricercar le cause di una (scarsa) crescita economica che, quando va benino, è inferiore a quella di tanti altri Paesi europei e, quando va male, è peggiore rispetto a quella di tanti altri Paese europei.

Questa prospettiva di ragionamento è la sola ad aprir la strada del miglioramento, ovvero (vogliamo dirlo con linguaggio calcistico?) della ripartenza. È la strada della responsabilità, evitando la facile scorciatoia delle colpe attribuite ad altri: ora all’egoista Germania; ora ai poco solidali («frugali») Austria, Olanda, Svezia, Danimarca; ora ai «sovranisti» ungheresi, polacchi, cechi, slovacchi; ecc. Non “bruciamo” queste streghe per dar sfogo psichiatrico all’incapacità nostrana di avviare a risoluzione i problemi. Non pensiamo al burattinaio della globalizzazione che, con banche, multinazionali, speculatori finanziari, ecc., si prende gioco delle nostre vite, ci riduce a burattini. Pensiamo senza schermi ideologici ai programmi che possano rispondere nel modo migliore in Italia a quanto si è predisposto e si sta predisponendo nell’Ue per fronteggiar la crisi: si sia «ambiziosi» non solo nel senso di chieder solidarietà agli altri Stati, ma anche nel senso di offrire responsabilità.

A questo proposito la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea scrive nel preambolo che «Il godimento di questi diritti fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future»: è un’ispirazione che in Italia risale in particolare a Giuseppe Mazzini (con la sua dichiarazione dei doveri dell’uomo, del 23 aprile 1860) e resta sempre presente sotto traccia, carsica, minoritaria, e che però procedendo dalla coscienza individuale può dimostrarsi capace di sviluppi politici che, benché sommamente improbabili nella vita ordinaria, si manifestino improvvisamente come possibili proprio al verificarsi di gravi crisi.

3. Il «momento Hamilton»

Nella cooperazione internazionale continentale europea già sono presenti caratteristiche di «sovannazionalità» che mirano a saldare il continente in una «Comunità di destino», attorno a valori condivisi, di cui anche chi non ne percepisca le suggestioni culturali e spirituali deve almeno cogliere le opportunità politiche per una forte presenza europea nelle relazioni internazionali dominate dalle superpotenze.

Così, il Consiglio d’Europa (organizzazione intergovernativa diversa dall’Ue) ha prodotto una Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che impegna la responsabilità di 47 dei 48 Stati continentali (pur nelle critiche di “sovranisti” capaci, come il sen. Salvini, di parlare dei suoi organi di garanzia, quali la Corte di Strasburgo, in termini di «inutilità di questo ennesimo baraccone europeo»).

Nell’Unione europea a 27 Stati membri da tempo sono d’altro canto presenti, e sconosciuti alla gran parte dei cittadini, veri e propri «elementi di federalismo» quali il Parlamento europeo, peculiarissima istituzione Ue eletta a suffragio universale diretto e dotata di significativi poteri (anch’essi sovente sconosciuti o misconosciuti) e l’istituto della stessa cittadinanza europea, che si aggiunge alla cittadinanza nazionale e attribuisce un fascio ulteriore di diritti e responsabilità. Ma sussistono similari elementi – quali la disciplina dell’Ue di rapporti privati transnazionali in materia civile e commerciale, compresi rapporti di famiglia, o la regolazione europea in ambito penale, come l’istituto del mandato d’arresto europeo – che possono essere ricondotti alla famosa «clausola federale» (full faith and credit clause) della Costituzione Usa secondo cui, all’art. IV, sez.I, tutti gli Stati della federazione si riconoscono in piena reciproca fiducia e credito le rispettive leggi, atti pubblici, procedimenti giudiziari.

Oggi anche per l’Europa sta arrivando “il momento Hamilton”? Cioè quel cambio di paradigma seguendo il quale il primo segretario al Tesoro Usa stabilì che il Governo federale nazionale si sarebbe assunto i debiti contratti dai singoli Stati federati durante la guerra di indipendenza, dunque mutualizzandoli?

Il 18 maggio scorso Emmanuel Macron e Angela Merkel, nel corso di una conferenza stampa comune (in videoconferenza), hanno dato il via alla realizzazione di un piano europeo di ricostruzione, al tempo della pandemia e dopo la crisi economica già scatenatasi nel 2008, dichiarando di voler «unire le nostre forze in un modo inedito». La Cancelliera ha precisato che il piano deve dare un contributo decisivo perché l’Europa «esca rafforzata e solidale dalla crisi del coronavirus». Il Presidente francese ha auspicato una forma di «sovranità europea» che consenta di dotare l’Unione della necessaria «autonomia strategica» dinanzi alle grandi potenze mondiali per rispondere alle sfide del futuro. Ha evocato, in particolare, l’autonomia industriale dell’Europa, a cominciare dal campo della salute e dell’industria farmaceutica, dove molte aziende sono state delocalizzate fuori dal nostro continente, e ha quindi parlato di «sovranità tecnologica» che «riduca la dipendenza dell’Ue, nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri».

La Commissione europea (Istituzione Ue) ha conseguentemente proposto, il 27 maggio, di stanziare sia lo strumento Next Generation EU (nome che apre al futuro e ai nostri doveri verso le giovani generazioni nonché verso quelle a venire) a cui assegnare un budget di 750 miliardi di euro, sia di potenziare il nuovo bilancio pluriennale dell’Ue per il periodo 2021-2027 (in elaborazione già prima della crisi), per addivenire a una dotazione complessiva che dovrebbe raggiungere i 1.850 miliardi di euro. Il fine è la tutela della vita umana e dei mezzi di sostentamento, la riparazione del mercato unico e la costruzione di una ripresa duratura e prospera.

Next Generation EU può reperire le risorse finanziarie necessarie grazie all’innalzamento temporaneo del massimale delle risorse proprie “comunitarie” (risorse che oramai sono in gran parte dipendenti da trasferimenti statali) al 2,00% (dal circa 1% attuale) del reddito nazionale lordo dell’Ue, il che consente alla Commissione, forte del proprio elevato rating creditizio, di contrarre sui mercati finanziari prestiti per 750 miliardi di euro, assai più vantaggiosamente di quanto possa realizzare singolarmente uno Stato come l’Italia. Questi finanziamenti supplementari sono così convogliati, secondo la proposta, verso i programmi dell’Ue e il loro rimborso è spalmato sui futuri bilanci (comuni) dell’Ue stessa nell’arco di un lungo periodo, con inizio non prima del 2028 e completamento non oltre il 2058. L’obiettivo dev’essere perseguito all’insegna dell’equità e della condivisione, e per questo la Commissione propone varie risorse proprie nuove (forme di tassazione sulle multinazionali del web, ecc.).

Per mettere a disposizione i fondi il prima possibile, e poter rispondere ai bisogni più urgenti, la Commissione ha proposto una modifica dell’attuale quadro finanziario pluriennale 2014-2020 al fine di provvedere già nell’anno in corso risorse aggiuntive per 11,5 miliardi di euro. Il 28 maggio la Commissione europea, tramite il vice-presidente Margaritis Schinas, ha dato seguito pratico a queste sollecitazioni anche prevedendo che il progetto di bilancio pluriennale dell’Ue, in completo rifacimento, contenga un capitolo di spesa autonomo di 9,4 miliardi di euro in materia di salute pubblica. Il programma (denominato Eu4Health) è all’interno del progettato piano Next Generation EU e si presenta come «elemento rivoluzionario per la salute dei nostri cittadini», ha detto la commissaria europea per la Salute Stella Kyriakides. Obiettivo del programma è la miglior preparazione davanti all’insorgere delle crisi sanitarie, come la predisposizione di riserve di forniture mediche, di personale e di esperti, da mobilitare per rispondere alle crisi sanitarie in tutta l’Unione, ma anche l’adeguato rafforzamento tanto delle strutture europee già esistenti in tema di salute quanto dei sistemi sanitari nazionali.

Gli interventi succedutisi nelle ultime settimane in seno o collateralmente all’Ue sono del resto così numerosi da dover esser considerati complessivamente, mettendo in relazione e a confronto: l’approvazione della sospensione del Patto di stabilità e crescita (che non è un Trattato a sé stante, ma fa capo a regole Ue di diritto derivato dai suoi trattati istitutivi: Tue-Trattato sull’Unione europea e Tfue-Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ed è altra cosa rispetto al «Fiscal Compact»); l’allentamento temporaneo della disciplina europea applicabile agli «aiuti di Stato» (art.107 e seguenti del Tfue); il regolamento (Ue) 2020/672 del Consiglio (altra istituzione Ue) del 19 maggio 2020 che istituisce uno strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nella situazione di emergenza (Sure) a seguito dell’epidemia di Covid‐19; l’attivazione per l’occasione – e l’Italia ne ha fatto domanda – del Fondo di solidarietà di cui al regolamento (CEe) 2012/2002 del Consiglio; la possibilità di riutilizzare per la crisi la quota di fondi strutturali e di coesione assegnati ai Paesi membri e tuttavia persi (come all’Italia non di rado accade). Per non parlar del Mes (Meccanismo europeo di stabilità; cosiddetto «Fondo salva Stati») che a maggior ragione, anche per esser disciplinato da un trattato internazionale esterno all’Ue, ha bisogno di considerazione più approfondita di alcune poche parole incentrate sulla linea speciale di finanziamento a disposizione degli Stati per spese direttamente o indirettamente connesse alla pandemia nonché all’impatto sui sistemi sanitari nazionali.

Va da ultimo ancora ben sottolineato che la proposta Next Generation EU resta, al momento, appunto una proposta, la cui procedura di approvazione passa per altre tappe, la più prossima delle quali è rappresentata dal Consiglio europeo (ulteriore istituzione Ue) del 19 giugno.