Quella in corso è una settimana importante per l’economia europea e italiana. Domani, infatti, è in programma il board della Bce, cui seguirà, venerdì e sabato, il Consiglio europeo dedicato al Recovery fund. L’Eurotower potrebbe dire qualcosa di importante sul programma Pepp che sta aiutando molto a contenere il nostro spread, mentre sui fondi che potrebbero arrivare da Bruxelles ha investito politicamente molto il Premier Conte, recandosi anche negli ultimi giorni in diverse capitali europee per cercare di trovare i consensi necessari a far approvare il Next Generation EU predisposto dalla Commissione europea. Difficile intanto capire se quest’anno il Pil avrà una caduta come quella prevista dalla stessa Commissione la scorsa settimana. Come spiega Mario Deaglio, Professore di Economia internazionale all’Università di Torino, «tutto dipenderà se ci sarà o meno una seconda ondata di contagi. Finché non ci sarà un vaccino, sarà il coronavirus ad avere l’ultima parola e nel frattempo l’incertezza avrà anche un suo costo economico».



L’Europa sta fornendo una risposta alla crisi paragonabile a quella americana?

In entrambi i casi, di fronte a un doppio shock di domanda e offerta, si sta cercando di rispondere con iniezioni di liquidità, facendo attenzione a farla arrivare nei posti giusti, non soltanto nei mercati finanziari. Per esempio, gli Usa hanno deciso di sostenere Boeing per evitare che chiuda alcuni stabilimenti. Sostegni si stanno prevedendo anche per le compagnie aeree, come del resto sta accadendo in Europa, dove una parte di queste politiche viene attuata direttamente dai Governi nazionali, mentre un’altra è coordinata a livello europeo. A livello di cifre, gli Stati Uniti hanno previsto di utilizzare più risorse, vedremo se cambierà qualcosa nei prossimi mesi.



L’Italia sembra puntare molto sul Recovery fund. Verranno vinte le resistenze dei Paesi frugali?

Credo che questi Paesi possano fare pressione fino a un certo punto, anche perché hanno i loro scheletri nell’armadio. È vero che noi andiamo in pensione prima dei finlandesi, ma in Europa ci sono gli pseudo paradisi fiscali di alcuni Paesi del nord, senza dimenticare lo scandalo bancario, di cui si parla molto poco, relativo alla Danske Bank. Dunque che i frugali portino avanti la loro posizione è del tutto ragionevole e lecito, come pure che ottengano qualche riduzione o qualche ridefinizione su come vengono distribuiti i fondi, ma escludo possano bloccare il Next Generation EU: alla fine si troverà un accordo.



Il Governo italiano si prepara intanto a un nuovo scostamento del deficit, si ipotizza per 17-18 miliardi di euro. Ciò rischia di creare un aumento del debito pubblico difficile da gestire proprio quando si comincia a parlare di fine della sospensione del Patto di stabilità?

Non ho gli elementi per rispondere. In particolare manca una ragionevole previsione dell’andamento del Pil nei prossimi 3-4 anni. Se noi riuscissimo, infatti, ad arrivare a una crescita stabile del 2% all’anno, allora il rapporto debito/Pil comincerà a scendere e in un decennio torneremmo senza troppi problemi in una traiettoria di rientro. Quanto all’aumento del deficit in sé, il Governo ha annunciato tantissime spese, ma vorrei capire in quanto tempo si concreteranno e quale effetto avranno davvero sull’economia.

È presto ancora per dirlo?

Il punto è che non è facile dirlo. Per esempio, il bonus del 110% sulle ristrutturazioni edilizie sulla carta avrebbe un enorme potenziale, ma sembra che possa portare beneficio alle imprese con 30-40 addetti, mentre per quelle più piccole non cambierebbe nulla, perché per gestire nuovi lavori avrebbero bisogno di aumentare i dipendenti, ma non hanno abbastanza interesse a farlo in questo frangente. Per la nostra economia sarebbe comunque fondamentale raggiungere e mantenere una crescita del Pil almeno del 2%.

Importante è anche che le regole del Patto di stabilità non ritornino in vigore in tempi brevi.

Le regole scritte allora non possono tornare tali e quali. Occorre che vengano adattate alla situazione. In particolare a quella della Francia, che è il vero ago della bilancia. Apparentemente, infatti, le finanze francesi stanno abbastanza bene, ma di fatto il Paese deve fare i conti con alcune debolezze e potrebbe scivolare e trovarsi in difficoltà. A quel punto l’idea di tornare alle regole di prima sarebbe illusoria: se uno dei due pilastri dell’Ue sta male, le cose non possono che cambiare.

Quindi dovremo sostanzialmente guardare a cosa accadrà alla Francia.

Certamente. Il Paese è alle prese con una riforma delle pensioni e nel 2022 dovrà tornare alle urne per le presidenziali. Se la Francia darà segni di una situazione vagamente simile a quella italiana, pur con tutte le differenze del caso, di due-tre anni fa, non se ne parlerà proprio di ritornare alle regole del Patto di stabilità.

Sarà nostro interesse allora cercare una sponda con Parigi.

Direi di sì. Già ci sono collaborazioni italo-francesi a livello industriale, non solo per la fusione Fca-Psa, ma anche per la joint-venture tra Naval Group e Fincantieri. Si potrebbe fare anche qualcosa sull’aerospazio.

(Lorenzo Torrisi)