L’eco dell’”inopportuna” cena di mercoledì sera all’Eliseo tra Macron, il Cancelliere Scholz e il Presidente ucraino ha senz’altro contribuito ad avvelenare il clima del Consiglio europeo. A danno dell’Italia, che stenta a costruire alleanze attorno alla riforma delle regole, a partire dalla revisione dei tempi e delle modalità del Pnrr. Al di là degli ormai tradizionali screzi con Parigi, però, merita affrontare il tema dei negoziati con Bruxelles, a sua volta alle prese con una delicata trattativa con gli Usa che promette di cambiare in profondità la politica economica europea.
L’accoppiata franco-tedesca, già data in crisi, si è ricomposta quasi all’improvviso negli ultimi giorni. Prima dell’incontro parigino con Zelensky c’è stata la missione dei ministri dell’Economia dei due Paesi a Washington per disinnescare la mina degli aiuti di Stato Usa alle imprese che s’impegnano a produrre sul suolo americano: più di 2 mila miliardi tra agevolazioni all’industria verde, alla produzione di chips ed altre misure che favoriranno gli investimenti in America. Alle proteste della coppia, che in teoria rappresentava l’interesse dell’intera Europa, la Casa Bianca ha opposto un cortese rifiuto.
Il piano dell’Ira (Inflation reduction Act) non nasce da preoccupazioni protezionistiche, ma è l’architrave della strategia politica democratica in vista delle elezioni del 2024. Anzi, la rinascita della leadership industriale Usa è l’arma che Joe Biden intende usare per riconquistare la fiducia della classe operaia bianca, decisiva nel 2020 per decretare la vittoria di Trump. Fin qui la risposta ufficiale, ma è evidente che la relazione tra Washington e i due più potenti alleati europei è troppo importante per esser sacrificata nel momento del maggior sforzo bellico a favore dell’Ucraina.
Non occorre essere Kissinger per capire che la partita delle sovvenzioni all’industria si gioca in parallelo a quella del sostegno a Kiev. Specie da parte della Germania, il Paese chiave dal punto di vista dell’economia ma anche degli aiuti militari. Non è certo azzardato, in questa chiave, trovare una stretta relazione tra la missione a Washington e la cena a tre all’Eliseo. L’esclusione di Giorgia Meloni non è frutto di una scortesia o di un’ingenuità politica, semmai una scelta consapevole dopo una rapida trattativa. Non a caso Zelensky non ha rivelato, se non per sommi capi, il contenuto della serata.
Il confronto con Washington, del resto, ha provocato uno strappo storico a Bruxelles. La Comunità ha preso atto di non essere in grado, nelle attuali condizioni, di replicare alla politica di incentivi praticata dagli Usa. L’America può offrire alle imprese aiuti rapidi ed efficaci basati sul meccanismo del credito d’imposta. I 28 Paesi europei, in assenza di un quadro fiscale comune, possono rispondere con incentivi più o meno efficienti, ma che, per rispettare le normative comuni, sono lenti e farraginosi. Operazioni che negli Usa vanno in porto nel giro di settimane, in Europa richiedono anni di stress e di esperti ben pagati pur nell’incertezza del risultato finale. Di qui la scelta obbligata di favorire la via delle soluzioni nazionali, assai pericolosa per Paesi come Italia o Spagna. La Comunità rischia di spaccarsi in due: da una parte Francia e Germania, che in occasione della pandemia in Europa hanno distribuito il 77% dei contributi a imprese e famiglie, dall’altra l’Italia, troppo debole sia per contrastare le aziende tedesche o francesi irrobustite dai fondi pubblici che per evitare l’emigrazione degli investimenti oltre Atlantico.
L’alternativa? Un fondo sovrano europeo in grado di sviluppare una politica di protezione dell’ambiente ma anche di tenere il passo di Cina e Usa nelle tecnologie più innovative, dall’Intelligenza Artificiale alle Scienze della Vita. Ottima idea, purché ci siano i soldi. Ma i Paesi più ricchi della Comunità, Germania in testa, non hanno per ora intenzione diversare un solo euro nell’impresa: sì al fondo, dunque, purché si accontenti dei capitali già versati in passato e non ancora spesi. Il piano proposto da Ursula von der Leyen rischia perciò di arenarsi o, comunque, di svolgere un ruolo gregario. La stessa Ursula, scavalcata dalle diplomazie di Parigi e Berlino, sembra in difficoltà. Anche di questo occorre tener conto nel valutare le difficoltà di Giorgia Meloni rispetto a Mario Draghi. L’ex Presidente della Bce poteva contare sul sostegno di una maggioranza politica comunitaria forte, in grado di imporre anche scelte difficili ai Paesi più forti. Giorgia Meloni, alle prese con Governi di segno opposto, è in una situazione ben più difficile che, peraltro, le scelte dell’Esecutivo peggiorano in maniera sensibile.
Basti pensare all’improvvida decisione di rinviare per un anno le gare per le concessioni balneari che per un’ampia fetta della maggioranza non s’hanno da fare né ora, né mai. Eppure, non è più il momento di entrare nel merito: l’Italia ha accettato, in cambio dei fondi e dei prestiti del Pnrr, di procedere ad alcune riforme di struttura necessarie, secondo l’Ue (ma non solo), a sbloccare i freni di un Paese che non cresce da decenni. Tra queste, oltre al nodo della giustizia, il principio della concorrenza che non riguarda ovviamente solo i balneari. Ma la questione delle spiagge (un fatturato globale di 7 miliardi, solo 100 milioni all’anno per l’erario), ha assunto un valore simbolico anche per Bruxelles: al di là delle chiacchiere, le resistenze a mettere a gara gli arenili, così come il rifiuto delle aste per il traporto pubblico locale, o, in altro ambito, le resistenze sul catasto, sono chiari segnali della volontà di non cambiare.
Tutto questo rende molto difficile il compito del ministro dell’Economia Giorgetti che chiede ai partner comunitari maggior flessibilità nei tempi e nei contenuti dei Pnrr, revisionato e integrato, che dovrà essere presentato alla Commissione europea entro il 30 aprile. Dovrebbe essere l’occasione per rilanciare l’acciaio verde e l’idrogeno e mettere in moto la realizzazione dei rigassificatori al Sud, ma ancor di più per far decollare il “piano Mattei” con un forte coinvolgimento dell’Ue nei destini dell’altra sponda del Mediterraneo.
Vaste programme, per dirla con De Gaulle. Ma che richiede quattrini (che non abbiamo) e una grande credibilità che, ahimè, l’Italia non sempre ispira ai partner Ue che devono garantire i creditori. Non dimentichiamolo, prima di trasformare il legittimo dispetto in una nuova manifestazione di vittimismo. Del resto, a Parigi Zelensky ha ricevuto la Legione d’Onore nella stessa sera in cui Sanremo gli ha dedicato una cover, ma nulla più.
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