Oggi il governo della Romania dovrebbe indicare il nome del suo candidato alla Commissione Ue, completando così il terzetto – assieme a Francia e Ungheria, che già li hanno comunicati – di “sostituti” dei commissari bocciati un mese fa dall’Europarlamento. A quel punto, la macchina per l’insediamento della nuova compagine guidata da Ursula von der Leyen potrà rimettersi in moto. In realtà, la Commissione avrebbe dovuto entrare in carica lo scorso 1° novembre e ora l’obiettivo è riuscire a farlo entro il 1° dicembre. Ma i tempi “tecnici” sono molto stretti e serrati. In più, a complicare il quadro, c’è il fatto che tra Commissione Ue e Parlamento europeo l’intesa non è proprio rosea. Anzi, la nuova maggioranza a tre di Strasburgo (la von der Leyen è stata eletta da una fragile maggioranza sostenuta da un accordo tra popolari, socialisti e liberali), attraversata da dispetti, veti ed equilibri instabili, potrebbe giocare ancora qualche brutto scherzo. Rischia infatti di aprirsi, in modo fragoroso, un nuovo caso intorno a Thierry Breton, il candidato francese scelto da Macron dopo la bocciatura di Sylvie Goulard.
Alla luce di queste difficoltà e incertezze c’è chi paventa la possibilità di un possibile rinvio al 2020 se non addirittura (dopo la recente intervista di Margrethe Vestager a Repubblica) una sorta di “crisi di governo” di una delle maggiori istituzioni Ue. E’ davvero così? A quel punto, cosa prevedono le regole europee? E cosa rischia in concreto l’Europa con lo stallo della nuova Commissione? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Pace, professore di diritto dell’Unione Europea nell’Università del Molise.
La Commissione von der Leyen avrebbe dovuto insediarsi il 1° novembre, ma la bocciatura dei tre commissari proposti da Francia, Romania e Ungheria ha rinviato la scadenza. Il prossimo round di audizioni si terrà a fine novembre. E sui nomi di Francia e Romania pesano ancora forti dubbi. Che cosa può succedere in caso di seconda, ancor più clamorosa, bocciatura? L’iter può proseguire all’infinito?
Sicuramente è una situazione nuova e che mette alla prova la nuova procedura di nomina della Commissione stabilita dal Trattato di Lisbona e vigente dal 2009. Il fatto che candidati Commissari siano “respinti” dal Parlamento non è una novità. Questo era già successo, sebbene con una procedura differente, nella formazione della Commissione Barroso I e Barroso II.
Dove sta la particolarità?
La particolarità della situazione attuale è il fatto che non siano state “accolte” ben tre personalità tra i proposti candidati. Questa è però la dimostrazione del fatto che il Parlamento vuole esercitare in pieno i poteri che il Trattato gli attribuisce. Non dimentichiamo, inoltre, che l’Europarlamento, come avevo anticipato, aveva avvisato che vi sarebbero state delle “conseguenze” nel caso in cui non fosse stata rispettata la regola, definita dallo stesso Parlamento, dello Spitzenkandidat. Cioè la proposta a candidato presidente della Commissione della personalità indicata dal partito politico vincente le elezioni del Parlamento europeo. E tale regola è stata appunto violata, visto che lo Spitzenkandidat del partito che ha ricevuto maggiori voti nelle elezioni, cioè Manfred Weber, non è stato proposto come candidato presidente.
E riguardo alla procedura di nomina della Commissione?
La procedura è definita dai Trattati europei ed è molto lineare. Il primo step è l’elezione del candidato presidente della Commissione. Concluso questo iter, si passa al secondo step, cioè l’adozione dell’elenco delle personalità che il presidente eletto propone di nominare quali membri della Commissione. In questa fase si inserisce il potere del Parlamento di “sentire” i proposti Commissari. Il terzo step è costituito dal voto collegiale del Parlamento relativamente all’intera Commissione così formata. Il quarto step è la nomina della Commissione da parte del Consiglio europeo. Ora si è arrivati al secondo step e fino a quando questo non sarà concluso non si potrà andare avanti, ma neanche indietro, salvo situazioni realmente eccezionali.
Qualcuno ipotizza addirittura una possibile “crisi di governo” preventiva e senza precedenti nella quasi trentennale storia dell’Europa post-Maastricht. La von der Leyen potrebbe gettare la spugna? Oppure l’Europarlamento potrebbe revocarle il mandato? Che cosa prevedono le regole europee?
Nella struttura istituzionale dell’Unione non esiste una “crisi di governo” nel senso che utilizziamo a livello degli Stati membri. Questo in quanto non esiste una “fiducia” tra Parlamento europeo e Commissione come si intende, ad esempio, nel quadro costituzionale italiano. Anzi, la caratteristica fondamentale della Commissione è proprio la sostanziale indipendenza anche dal Parlamento. Come dicevo prima, la formazione della Commissione è organizzata per singoli passaggi. Ognuno di questi presuppone delle intense negoziazioni politiche. E’ da escludere che il ritardo nella conclusione della seconda fase della procedura porti addirittura alle dimissioni del presidente eletto della Commissione, non potendo comunque il Parlamento revocarne l’elezione.
La vecchia Commissione, quindi, resta in carica per gestire l’ordinario. Ma il prolungato stand by della nuova Commissione che effetti concreti produce?
Gli effetti concreti sono rilevanti, perché non è pienamente “formata” una delle istituzioni centrali dell’Unione. L’attuale Commissione, cioè il Gabinetto Juncker, svolge ora solo le attività relative agli affari correnti. Questo significa che è bloccata l’intera dinamica politica dell’Unione che si fonda sull’attività svolta da Commissione, Parlamento europeo e Consiglio. L’Unione è bloccata. Ma non credo che questa situazione possa durare a lungo e presto sarà trovata una soluzione al momentaneo impasse.
(Marco Biscella)