Proviamo a far chiarezza. Anche se è una missione impossibile. O quasi. Il punto di partenza (ma non d’arrivo, ahimè) è la ratifica da parte dell’Italia del nuovo Patto di stabilità, il gesto politicamente più impegnativo per il futuro dell’Ue. L’Italia, smentendo le previsioni, ha aderito alla proposta messa a punto da Francia e Germania, pur corretta in più punti. Le regole approvate dai ministri delle Finanze dei 27
– I Paesi con debito/Pil superiore al 90%, Italia in testa, saranno chiamati a perseguire un aggiustamento pari ad almeno l’1% del Pil in media all’anno, mentre per quelli con debito/Pil compreso tra il 60% e il 90% l’aggiustamento sarà dello 0,5%. In caso di deficit eccessivo (superiore al 3% del Pil) dovrà essere garantito un aggiustamento strutturale di almeno lo 0,5% del Pil. Nel periodo transitorio compreso tra 2025 e 2027 sono previste circostanze attenuanti come l’aumentato costo al servizio del debito che permetteranno di limitare l’onere dell’aggiustamento annuo strutturale che, in presenza di investimenti e riforme, è indicato nello 0,25% del Pil.
– Ai Paesi con debito superiore al 60% al Pil e deficit superiore al 3% del Pil, la Commissione europea fornirà traiettorie tecniche da rispettare sull’andamento della spesa con piani quadriennali di aggiustamento. La durata dei piani potrà essere estesa a sette anni in caso di impegno a introdurre riforme e sostenere investimenti strategici che favoriscano la crescita.
– L’aggiustamento annuo strutturale primario per avvicinarsi al target dell’1,5% (anziché il precedente 3%) del deficit/Pil è indicato nello 0,4% del Pil, riducibile a 0,25% in presenza di investimenti e riforme.
Nonostante le “correzioni”, il percorso si presenta assai difficile. In cifre, in Italia dal 5,9% di deficit/Pil del 2023 si passerà al 4,8% nel 2024, per poi scendere di un ulteriore 0,5% nel 2025. Ancora un taglio, dal 4,3% al 3,5%, l’anno successivo. Con buona pace della conferma del taglio del cuneo fiscale e dell’Irpef per i redditi medio-bassi nel 2025, che al momento sono coperti solo per il 2024. Sarà comunque un passaggio all’insegna dell’austerità, in linea con la Francia, alle prese con problemi altrettanto urgenti.
A complicare lo sforzo contribuiscono le previsioni incerte sulla crescita nonché le incognite di un anno di guerra. Non è esaltante il quadro per un Governo che, per giunta, tra pochi mesi dovrà affrontare e il test delle elezioni. Gli spazi di manovra per operazioni fiscali a sostegno della crescita sono estremamente limitati e il rispetto dei nuovi parametri del Patto di stabilità potrebbero comportare aggiustamenti di bilancio, anche se grazie alle attenuanti probabilmente non a partire dal 2024/2025.
Vedremo intanto se il no alla ratifica della riforma del Mes farà sentire i suoi effetti sia sui Paesi che magari vorrebbero utilizzare il fondo salva-Stati per migliorare il sistema bancario, sia sull’Italia, che per il momento, visto lo sforzo fiscale da compiere, rischia di essere penalizzata più dell’odiata Germania.
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