In attesa delle decisioni del board della Bce in programma giovedì si continua a parlare di Patto di stabilità e crescita, visto che la scorsa settimana, nel presentare il “Pacchetto di primavera”, Paolo Gentiloni ha spiegato che presto riprenderà il dibattito sulla sua revisione, anche se “non sarà una partita facile”. A conferma delle parole del commissario europeo agli Affari economici sono arrivate quelle di Wolfgang Schäuble in un articolo sul Financial Times.



Il Presidente del Bundestag ha infatti scritto che, “lasciati a se stessi, i membri di una confederazione di Stati rischiano di soccombere alla tentazione di contrarre debiti a spese della comunità”. L’ex ministro delle Finanze tedesco ha spiegato di avere “discusso più volte di questo ‘azzardo morale’ con Mario Draghi.



Siamo sempre stati d’accordo che, data la struttura dell’Unione monetaria europea, la competitività e le politiche finanziarie sostenibili sono responsabilità degli Stati membri” e si è detto sicuro che l’ex Presidente della Bce “intende sostenere questo principio come presidente del Consiglio italiano”. Sembra quindi che assisteremo a una battaglia molto accesa sul futuro delle politiche fiscali europee, come ci conferma Massimo D’Antoni, Professore di Scienza delle finanze all’Università di Siena. 

Partiamo anzitutto dalle ultime “Raccomandazioni” della Commissione all’Italia. L’atteggiamento dell’Ue nei confronti del nostro Paese è cambiato rispetto al passato?



Le raccomandazioni seguono precisi passaggi istituzionali e si basano su parametri codificati, sono il riflesso di un impianto di regole e di un orientamento generale di politica economica. Dunque è difficile leggerci un atteggiamento particolare nei confronti di un Paese o l’altro. Nel caso dell’Italia, viene rilevato uno “squilibrio eccessivo” per quanto riguarda il livello del debito pubblico, le sofferenze bancarie e la crescita sempre troppo modesta della produttività. Quel che possiamo dire è che, pur riportando la presenza di squilibri, si avverte che siamo sempre in una fase nella quale l’Unione europea mira a incoraggiare la crescita, rinviando al futuro questioni più spinose come quella della disciplina fiscale.

È possibile in una situazione come quella attuale avere una ripresa economica con attenzione ai conti pubblici come sembra chiederci la Commissione?

Parlando del futuro prossimo, la Commissione distingue tra Paesi che hanno conti pubblici più in ordine, ai quali si chiede di proseguire con il sostegno alla crescita, e Paesi con maggiori difficoltà di bilancio, ai quali si chiede di investire tenendo sotto controllo la spesa corrente. È interessante questa attenzione alle spese di investimento. Evidentemente ci si è resi conto che gli investimenti sono stati la vittima della stagione dell’austerità, non si vuole ripetere quell’errore. Tuttavia, per l’anno in corso non c’è alcuna richiesta di modificare la politica di bilancio, dunque per il momento il problema di conciliare crescita e disciplina fiscale non si pone.

Gentiloni ha ricordato che nel secondo semestre dell’anno riprenderà la discussione sulla revisione del Patto di stabilità. Ha aggiunto che non si tratterà di modificare i Trattati Ue, ma che “non sarà una partita facile”. Il Commissario sembra quasi ammettere che il risultato non sarà “rivoluzionario”?

La mia lettura di quanto riportato dai giornalisti sulle dichiarazioni di Gentiloni è che, fermi restando i limiti dei Trattati, cioè il 3% del deficit e l’obiettivo di convergere al 60%, su tutto il resto si potrebbe intervenire, a cominciare dal sentiero di rientro verso tali obiettivi. Questo sarebbe compatibile con una revisione anche sostanziale del Patto di stabilità e crescita, a cominciare dalla “regola del debito” che è per noi il vincolo più forte, in quanto ci costringerebbe ad attuare, dal 2023, politiche di austerità. La difficoltà della partita, che Gentiloni ha ribadito, si capisce già dalle dichiarazioni rilasciate nella stessa conferenza stampa dal suo collega Dombrovskis.

Cosa ha detto il vicepresidente della Commissione?

Ha sottolineato che le regole già nella loro configurazione attuale consentono la flessibilità necessaria. Come a voler mettere le mani avanti sul fatto che nessuna modifica è necessaria. Si preannuncia insomma una partita molto accesa, sulla quale benzina sul fuoco è stata versata da un’altra nostra vecchia conoscenza, l’ex ministro delle finanze e ora presidente del Parlamento tedesco, Wolfgang Schäuble.

Si riferisce all’articolo sul Financial Times?

Esattamente. Non so quanto Schäuble incarni l’attuale linea tedesca, ma credo che sia tuttora molto influente e comunque esprima una posizione che in Germania è condivisa da ampi settori politici ed economici. Nel suo articolo ha lanciato una sorta di allarme per il rischio di inflazione e ha ribadito il solito concetto della disciplina di bilancio, che ai Paesi incapaci di darsi una regola in modo autonomo (il riferimento all’Italia era esplicito) va imposta dall’esterno, con bastone e carota.

Visco all’inizio della scorsa settimana ha parlato di emissione comune di debito. Al di là della sua fattibilità, dobbiamo prendere questa proposta come “spia” del problema debito che tornerà prepotentemente alla ribalta?

Il problema del debito non è mai scomparso ed è chiaro che, finita la “ricreazione” della sospensione del Patto, un debito che si prevede possa sfiorare il 160% del Pil rappresenterà un condizionamento importante per il nostro Paese. L’emissione comune di debito è una possibile strada per affrontare il problema, ma attenzione ai dettagli: anche il citato articolo di Schäuble parla di un piano comune di redenzione dei debiti nazionali che prevede la mutualizzazione, ma poi bisogna vedere quali sono le condizionalità o, per usare le sue parole, le “garanzie” che saranno chieste ai Paesi con debito elevato.

Stanti le condizionalità insite nel Recovery fund e il ritorno delle regole del Patto di stabilità, nel 2023 rischiamo di trovarci una situazione peggiore rispetto a quella precedente la pandemia dal punto di vista dei vincoli europei?

Se e quanto i vincoli posti dal Patto di stabilità saranno stringenti dipende dalla partita della modifica delle regole, di cui abbiamo già detto. In assenza di modifiche del Patto di stabilità, che i vincoli esistenti risultino più pesanti è una conseguenza meccanica dell’applicazione “regola del debito”, che impone un rientro al rapporto debito/Pil al 60% su un orizzonte ventennale. È certo possibile che ci venga data più flessibilità, nella forma di concessione di spazi di bilancio sotto condizione, cioè in cambio della realizzazione delle tanto invocate riforme strutturali. Da questo punto di vista, se prima c’era solo il bastone della procedura di infrazione, ora il Recovery fund rappresenta la carota. Stiamo parlando di un condizionamento delle scelte di politica economica nazionale, che già vediamo nel modo in cui il Pnrr è passato in Parlamento quasi senza discussione. Da questo punto di vista il tema del rapporto tra vincolo esterno ed esercizio della democrazia nella dimensione nazionale, che poi è il luogo nel quale la democrazione si è storicamente esercitata, si pone come e forse più di prima.

(Lorenzo Torrisi)

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