Caro direttore,
ho letto con interesse l’intervista a Paweł Zalewski non solo per quanto dice sulla situazione in Polonia, ma perché contiene molti spunti per una riflessione più generale, che tocca anche il nostro Paese.
Vorrei partire da quanto Zalewski dice sull’Unione Europea, che ritiene “una soluzione perfetta” per risolvere le divisioni tra i Paesi che la compongono. È una opinione condivisa, credo, anche da molti italiani, ma la mia domanda è: di quale Unione Europea stiamo parlando? I notevoli limiti dell’attuale costruzione sono incontestabili e l’ipotizzata soluzione, una vera unità politica, ben lontana da una possibile realizzazione. Le differenze tra i 27 membri dell’Unione sono tali che una unità politica sembrerebbe possibile solo in uno schema autoritario.
Altrettanto problematico è il discorso sul conflitto tra Corte Costituzionale polacca e Corte di Giustizia europea, che non riguarda certamente la sola Polonia, basti pensare alla decisione della Corte Costituzionale tedesca relativa al Quantitative easing della Bce, in netta contrapposizione con il giudizio della Corte europea. Rimandando per gli aspetti più strettamente giuridici a quanto dice Zalewski e all’analisi del giurista Agustín Menéndez nella sua intervista al Sussidiario, vorrei sottolineare ciò che lascia perplesso un semplice cittadino come me. È ancora una domanda: come può una Corte che risponde solo a se stessa prevalere su Corti, come quelle costituzionali dei vari Stati, che rappresentano e rispondono al proprio Paese?
Come già accennato, l’Unione Europea non è uno Stato federale, né una Confederazione, e non ha neppure una sua Costituzione, la cui ratifica è stata bloccata nel lontano 2005 dai risultati negativi dei referendum in Francia e Paesi Bassi. Una Costituzione, infatti, deve essere condivisa dai cittadini in base a principi fondamentali altrettanto condivisi e non può essere imposta da oligarchie, politiche o tecniche che siano.
Zalewski apre a tal proposito un altro problema, quello delle decisioni prese a maggioranza dei cittadini, criterio base delle democrazie occidentali, per quanto non perfetto. Il partito al governo in Polonia, responsabile di discutibili leggi sulla indipendenza dei giudici, ha vinto le elezioni per due volte e, possa piacere o no, ciò dà al suo governo autorevolezza democratica. Sembrerebbe quindi logico che il giudizio sul suo operato, come su quello della Corte Costituzionale, spetti ai cittadini e al Parlamento da loro eletto, e non a un ente sovranazionale le cui caratteristiche, possiamo dire opache, sono ampiamente in discussione.
Un ulteriore rimando a posizioni presenti in Italia è che, per le condizioni storiche del Paese e le caratteristiche del suo popolo, la governabilità possa essere conseguita solo attraverso istituzioni esterne. Se in passato si è fatto spesso ricorso a Stati o sovrani stranieri, ora sembra che il deus ex machina sia diventata l’Ue: “lo dice l’Ue”, “lo chiede l’Ue”, sono diventati una specie di mantra. E chi prende posizioni critiche diventa automaticamente populista o nazionalista. Certe posizioni populiste o nazionaliste rappresentano reali minacce alla democrazia e devono essere respinte, ma non usate come paravento ai tentativi di tacitare possibili obiezioni al pensiero che si vuole imporre.
Un ultimo punto che vorrei toccare è il discorso sulla Chiesa. Mi ha colpito l’ultima frase dell’intervista: “Penso che ci sia tanto da lavorare per ricostruire un rapporto sano tra lo Stato e la Chiesa, ovvero un rapporto in cui la Chiesa non abbia un impatto diretto sul potere e possa costruire la sua autorità con l’esempio e non influenzando la politica statale”. Ancora una volta, un dibattito ben presente in Italia, dove per molti il cristianesimo dovrebbe rimanere un fatto lecito ma privato. La distinzione fondamentale nel cristianesimo tra religione e Stato non significa che i cristiani siano cittadini di serie B che, quando affrontano la cosa pubblica, devono lasciare da parte le cose in cui credono. Il cristianesimo non è una serie di devozioni da esercitare a casa o in chiesa e il cristiano non deve limitarsi al buon esempio, benché doveroso, anche perché la bontà di un esempio dipende dai giudizi di valore che uno ha e dà. Un politico cristiano si distingue per le decisioni che prende nella vita pubblica e queste non possono che essere condizionate dalla sua coscienza cristiana e da ciò che indica la Chiesa.
Zalewski prende come esempio l’aborto e dichiara che la Chiesa ha il diritto di esprimere la sua opinione sull’aborto, ma non dovrebbe appoggiare un governo che vuol rendere il rifiuto dell’aborto una legge per tutti. È la posizione di Joe Biden che, come persona e cattolico, è contrario all’aborto, ma come presidente è in suo incondizionato favore, opponendosi a ogni sua limitazione. Una innaturale spaccatura della persona e della sua coscienza che si vorrebbe proporre come il modello del cristiano buon cittadino. Il Papa ha definito l’aborto, senza mezzi termini, un omicidio, ma il buon cristiano dovrebbe accettare che una legge dello Stato definisca l’aborto un “diritto inalienabile”, o che il feto non sia già un essere umano, ma una specie di “Untermensch”, come i nazisti definivano gli ebrei o gli zingari.
Caro direttore, con la sua intervista Zalewski solleva una serie di problemi che vanno ben al di là della Polonia e penso debbano essere di parecchio approfonditi anche da noi.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI