Chi avesse ancora qualche dubbio quando si usa il concetto di “neo-cameralismo” per comprendere il costrutto – istituzionale e ideologico insieme – che regge quel complesso di trattati che legano l’un con l’altro un insieme di Stati senza fondamenti di diritto che non siano una costituzione materiale, può ora compiere un passo innanzi nel riconoscimento teorico. Mi riferisco alla vicenda del Mes, di nuovo emersa dalle acque ormai torbide della burocrazia divenuta tecnocrazia dell’Ue. Eppure, i tempi, per riproporlo con tanta tranquillità (e insieme veemenza contro coloro che di questa tranquillità dubitano), non sono propizi: sono iniziati, infatti, una serie di regolamenti di conti tra le potenze medie europee e quelle del Golfo, Qatar in primis, che si rendono manifesti sul terreno spinoso quanto mai dei diritti umani e del gioco del calcio, divenuto fonte di potenza e di affari internazionali.
Sarebbe opportuno mantenere un basso profilo e dismettere ogni polemica a riguardo, lasciando agli Stati di regolarsi in merito come meglio credono: la recessione è prossima e il dibattito è solo sulla durata di essa e su quali siano gli strumenti migliori per salvaguardare famiglie e imprese dalla de-industrializzazione che si avvicina pericolosamente… Ebbene: in questo contesto il nuovo Governo italiano vuole esercitare il diritto – questo sì costituzionale – di poter usare un altro percorso per risolvere i problemi del debito pubblico e della recessione prossima. Ricorrere al Mes, invece, l’abbiamo detto molte volte, non consentirebbe margini di manovra in caso di non temporaneo rispetto dei limiti non giuridici, ma solo di natura regolamentare (come ci spiegò insuperato il maestro Giuseppe Guarino), con il pericolo di vedersi deprivati di ogni risorsa in grado di innestare, con il tempo necessario, una nuova e possibile crescita: Grecia docet…
Il dibattito teorico che si svolse tempo fa pare non essere servito a nulla, se l’unica arma contro coloro che vogliono intraprendere una strada di crescita rinnovata dal basso, valorizzando le risorse nazionali immerse nella globalizzazione – che va utilizzata e non subita per quanto è possibile – è quello della minaccia del discredito nell’Ue e dell’uso di una sorta di discriminazione di genere; “genere” politico, contro una non ben definita “destra radicale” (sic) che in ogni caso è uscita legittimata dalle urne dai cittadini italiani-europei, lo si voglia o no: incontri, questo fatto, le volizioni civili di tutti o, invece, solo di alcuni. La teoria e la pratica della democrazia dovrebbero essere superiori alla regolazione dall’alto sotto l’usbergo di una special purpose entity finanziaria (il Mes, appunto) che non consente neppure di porre in atto una governance che non risponda solo ai criteri della comunità finanziaria internazionale, ma anche ai corpi politici che – lo si voglia o no – reggono anch’essi l’Ue, con la sua struttura di enti e di coorti burocratiche che agiscono non elette e sotto un mandato non legittimato se non in seconda istanza. Non costituzione giuridica, insomma, ma solo un insieme di regolamenti e di arbitrati che stanno trasformando la democrazia parlamentare in una nuova forma di governo che ha radici antiche: il neo-cameralismo di origine tanto prussiana quanto statunitense, come Lorenzo Castellani e Alessandro Mangia hanno ben dimostrato nei loro lavori.
Il tutto mentre un’ uscita di sicurezza ci sarebbe, senza così cadere nelle spire della special purpose entity: quella di un “Prestito irredimibile per la rinascita”, come tempo or sono avevamo proposto, ispirati da motivazioni diverse ma concorrenti l’una con l’altra, Giovanni Bazoli, un banchiere senza eguali in Europa, Giulio Tremonti, il quale unisce politica e teoria in uno sforzo incessante, e – più modestamente – il sottoscritto. Un prestito che si rivolga alla nazione come facemmo negli anni della ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale, sotto lo sguardo vigile di Luigi Einaudi. Prestiti che sortirono, perché i prestiti furono più di uno, l’effetto di unire tutte le forze politiche al di là degli scismi della Guerra fredda e che ridiedero alla nazione quello slancio – non solo finanziario – che non doveva esser perduto dopo la lotta di Liberazione nazionale.
Un prestito che serva per comporsi con e per attuare il Pnrr, ponendoci in tal modo non contro l’Ue, ma nella Ue, per utilizzarne tutte le possibilità che quel meccanismo imperfetto può tuttavia offrire alle nazioni che vogliono ritrovare sé stesse, partendo dalla nuova crescita economica che – tra transizioni e trasformazioni – tutti dovremmo auspicare.
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