Un Green Deal che rischia di rimanere un Green Dream, ancorato a una visione ideologica e poco rispettosa delle esigenze delle aziende. Le nuove regole ambientali dell’UE mettono in difficoltà il mondo agricolo, che per adeguarsi alle politiche europee deve preventivare costi insopportabili se affrontati solo con le proprie forze. Per questo, spiega Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, l’obiettivo è quello di riportare con i piedi per terra le istituzioni europee, anche, per esempio, sulla norma che obbliga a fare riposare il terreno ogni due anni. Di fronte alle proteste dei trattori in tutto il continente, e in particolare a quelle italiane, bisogna cercare soluzioni che vengano incontro alle istanze del settore. La risposta alle proteste, insomma, passa dal dialogo serrato con l’Europa per far comprendere a Bruxelles come conciliare il suo piano green con le disponibilità e i problemi concreti di coltivatori e allevatori.
La protesta dei trattori continua, anche se è meno considerata a livello mediatico rispetto a prima. Qual è il vostro “bilancio”? Questa protesta era inevitabile?
I fattori che hanno portato gli agricoltori nelle piazze europee sono molteplici e diversi da Paese a Paese. Tuttavia, si riscontra un minimo comun denominatore: una forte preoccupazione di fronte a un sistema di regole comunitarie che mettono a dura prova gli imprenditori agricoli d’Europa. Sia la Politica Agricola Comune (PAC) sia il Green Deal denotano un forte sbilanciamento verso la tutela dell’ambiente a discapito della produttività e della competitività delle nostre imprese. Dopo la pandemia, la conseguente instabilità economica e le guerre in corso, eventi critici durante i quali il settore primario è stato trainante e ha compiuto sforzi lodevoli e lodati, gli agricoltori europei percepiscono che il loro reddito e la loro capacità di impresa non sono tutelati.
Voi che cosa avete fatto?
Confagricoltura ha da sempre evidenziato le criticità della PAC, da un lato, e del Green Deal, dall’altro, che propone un modello “perfetto” e come tale difficilmente raggiungibile. Stiamo ascoltando le proteste dei trattori per continuare nella nostra missione: partecipare ai tavoli istituzionali mantenendo costante il dialogo con il governo italiano e con le istituzioni europee, per trovare soluzioni condivise nel segno dell’equità e della ragionevolezza.
Fermiamoci un attimo sul punto. Qual è il ruolo delle norme UE sulla PAC e del Green Deal in quanto avvenuto? Cosa si è sbagliato?
Il Green Deal rischia di diventare un Green Dream, ossia un sogno. La transizione green è un elemento imprescindibile per la salvaguardia del Pianeta e tutti devono fare la propria parte per raggiungere un obiettivo comune: ridurre la nostra impronta ambientale. Lo sforzo richiesto al settore primario, tuttavia, a noi imprenditori agricoli non sembra proporzionato, oltre al fatto che spesso ci viene addossata una forte responsabilità dipingendoci come i primi inquinatori. Non dimentichiamo che gli agricoltori sono da sempre guardiani dell’ambiente, lavorando tutti i giorni a contatto con la natura. Per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità enunciati dal Green Deal, dobbiamo introdurre profondi cambiamenti nei sistemi di produzione e in questo ci viene in soccorso la tecnologia, che però ha dei costi. Gli agricoltori, dunque, chiedono di essere messi nelle condizioni di poterli sostenere.
Il mondo agricolo, in questo momento, viene rappresentato da diverse organizzazioni e la protesta delle scorse settimane ne ha fatte emergere altre. La frammentazione rischia di indebolire le istanze del mondo agricolo, così come indebolisce il suo potere contrattuale nei confronti dell’industria di trasformazione e della grande distribuzione. Che parte ha questo problema in quello che sta avvenendo?
In altri Stati membri, le proteste sono state organizzate dalle principali associazioni agricole per questioni ben specifiche. L’eliminazione delle agevolazioni al gasolio in Germania e l’aumento della tassazione sull’acqua irrigua e sui fitofarmaci in Francia. Invece, nei Paesi limitrofi all’Ucraina le contestazioni hanno riguardato il crescente flusso di importazioni di prodotti agroalimentari dal Paese in guerra. In Italia non c’è stato un motivo scatenante ma una serie di questioni critiche, dall’IRPEF al calo dei prezzi all’origine, sulle quali Confagricoltura era ed è tuttora al lavoro. Il 26 febbraio, a Bruxelles, la nostra assemblea presenterà delle proposte per una significativa ed urgente semplificazione burocratica della PAC. Confagricoltura ha ascoltato gli agricoltori in protesta e si è fatta portavoce delle istanze sotto forma di proposte che porteremo in modo chiaro sui tavoli istituzionali. La differenza sta proprio nella capacità di identificare i problemi e suggerire le soluzioni.
Molti dei temi che sono stati messi sul tavolo chiedono dei cambiamenti strutturali in vista della loro soluzione. Partiamo da quello dei prezzi: come si può riconoscere una remunerazione adeguata al lavoro dei produttori?
In effetti abbiamo registrato un calo dei prezzi pagati agli agricoltori molto più incisivo rispetto al calo dei costi di produzione. Ad esempio, i prezzi dell’energia sono calati ma continuano ad essere superiori del 40% rispetto ai livelli del 2021. Per alcuni settori come quello cerealicolo, il calo delle quotazioni ha superato il 20%. Noi scontiamo una carenza di dialogo strutturato tra tutte le componenti della filiera agroalimentare. Si discute di prezzo, ma manca un dialogo sulle prospettive di mercato e sul modo di rafforzare la filiera così da poter ottenere un maggior valore aggiunto da ripartire in modo equo tra tutti gli anelli della catena. I contratti di filiera sono stati una risposta positiva. In questo senso, Confagricoltura e Unionfood hanno lanciato Mediterranea, un’alleanza che unisce il mondo della trasformazione industriale e il settore primario, mettendo al centro il modello mediterraneo e le sue filiere. Inoltre, stiamo esaminando a fondo le leggi sui rapporti interprofessionali esistenti in Francia e in Spagna, in vista di una possibile proposta che contiamo di presentare in tempi brevi.
In Italia la protesta ha dato molto peso alla norma europea che obbliga a far riposare i terreni ogni due anni: quanto danneggia le attività agricole, soprattutto quelle più piccole? Qual è il punto di equilibrio per tenere in considerazione le ragioni dei produttori e il rispetto dell’ambiente?
Quella della rotazione obbligatoria delle colture, così come l’obbligo di destinazione non produttiva di una parte dei terreni, sono misure decise a tavolino mettendo da parte la realtà e le esigenze produttive delle imprese. A seguito della deroga concessa nel 2022, la rotazione obbligatoria entrerà in effetti in vigore il prossimo anno: abbiamo quindi il tempo per eliminare la misura dall’assetto normativo della PAC e per raggiungere questo obiettivo siamo già al lavoro. Intanto, è positivo il fatto che la Commissione abbia deciso di ammorbidire la regola della destinazione non produttiva. Un segnale che abbiamo ritenuto insufficiente, ma comunque un primo passo che va registrato.
A livello italiano ed europeo che risposte sono state date finora e quali invece dovranno arrivare per sostenere gli agricoltori? In fondo, l’UE si è limitata a ritirare la legge che prevedeva la riduzione dei fitofarmaci (che tra l’altro non era un obiettivo comune della protesta nei diversi Paesi), mentre il governo ha agito sull’IRPEF agricola. Si tratta solo di un contentino? Su cosa invece si dovrebbe cominciare ad agire?
Confagricoltura è soddisfatta dell’attenzione dimostrata dal governo italiano. Dall’UE, invece, ci aspettiamo di più. Confermiamo la necessità di aprire tavoli di confronto in Europa che tengano conto delle reali esigenze del settore. Gli agricoltori sono imprenditori a tutti gli effetti e come tali vanno messi nelle condizioni di produrre per soddisfare gli obiettivi che la Comunità europea si è posta dall’origine, ossia la sicurezza e l’autonomia alimentare. In questo senso, un aspetto fondamentale è il principio della reciprocità. Per tutelare la produttività e la competitività degli agricoltori europei è necessario che i Paesi terzi che si affacciano al nostro mercato rispettino standard ambientali e sociali equiparabili.
(Paolo Rossetti)
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