Ieri l’Unione europea ha pubblicato le nuove linee guida sulle sanzioni contro la Russia. Secondo le ultime indicazioni, le sanzioni non impediscono agli importatori di gas di aprire nuovi conti correnti e quindi le condizioni poste da Putin sono soddisfatte. Le società europee potranno continuare a importare gas dalla Russia.
La prosecuzione del conflitto in Ucraina e il suo allargamento, con l’ingresso di nuovi membri nella Nato non ha per ora fermato i flussi di gas. Nelle ultime settimane, soprattutto dalla Germania, sono circolate stime preoccupanti sull’impatto di un possibile blocco; uno studio dell’università di Mannheim, ripreso tra gli altri dal Financial Times qualche giorno fa, calcolava un impatto del 12% del Pil tedesco nell’ipotesi peggiore. Qualche settimana prima l’ad di Basf dichiarava che lo stop alle forniture avrebbe causato in Germania la “peggiore crisi economica” dalla fine della Seconda guerra mondiale; una crisi che “distruggerebbe la nostra prosperità”.
Il prezzo del gas in Europa si è raffreddato dopo la notizia, anche se rimane 4-5 volte superiore all’inizio della crisi. La prosecuzione delle importazioni è una buona notizia; nel breve termine evita lo spettro di razionamenti e ulteriori rincari che avrebbero minato in particolare il sistema industriale tedesco e italiano e la qualità della vita dei cittadini europei già alle prese con il caro bollette e l’inflazione. Nel medio-lungo periodo il problema non viene risolto.
L’Europa continuerà a pagare decine di miliardi di euro all’anno a Mosca, ma a causa delle sanzioni il numero di beni che la Russia può acquistare in Europa è una frazione rispetto al 2021. La Russia potrebbe accumulare riserve in euro sole scommettendo su una normalizzazione dei rapporti; diversamente le riserve in euro rimarrebbero esposte alle decisione di un’entità “nemica” e per questo inaffidabile. Qualsiasi sia il tecnicismo scelto per mantenere i flussi di gas, la Russia si ritrova con il problema del rafforzamento della sua valuta e l’Europa con l’indebolimento della sua perché lo scambio commerciale è quasi a senso unico. L’Europa potrebbe alzare i tassi e invertire il Qe causando una recessione e mettendo sotto tensione l’euro oppure stampare moneta peggiorando l’inflazione. In questo secondo caso sarebbe il Paese esportatore a “protestare”. Alla fine la Russia non potrà fare altro che chiedere un aggiustamento strutturale che bilanci lo squilibrio o esportando di meno o chiedendo pagamenti più affidabili rispetto all’euro.
Lo squilibrio può essere risolto solo dalla fine delle sanzioni che consenta, per esempio, alle società europee di vendere in Russia incassando rubli con cui pagare il gas. Fuori da questa ipotesi, la fine delle sanzioni, rimane lo squilibrio di uno scambio commerciale che avviene in un’unica direzione: il gas russo che entra in Europa senza beni europei venduti in Russia.
Dal punto di vista “politico” sono chiare due cose. La prima è che senza il gas russo l’economia europea non può sopravvivere e che per provare a svincolarsi servono anni. La seconda, più importante, è che l’accordo di ieri è una finestra aperta su una possibile normalizzazione, su una “pace” che non può non essere anche economica e commerciale. È una finestra che, a queste condizioni, e cioè con le sanzioni, non può rimanere aperta indefinitamente. A queste condizioni si può chiudere per un ulteriore inasprimento del conflitto o anche solo per inerzia.
Il tempo non gioca a favore dell’Europa perché nel nuovo mondo in cui gli Stati mettono davanti a tutto la sicurezza energetica e alimentare, chi non ha le risorse o non riesce a difendere le proprie catene di fornitura ha il tempo contato.
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