Continua la marcia spedita dell’Unione europea verso gli ambiziosi obiettivi ambientali previsti dal cosiddetto Green Deal. La Nature Restoration Law, un regolamento recentemente approvato dal Parlamento europeo (non in via definitiva, in quanto manca ancora il successivo passaggio al Consiglio), ne è un pilastro importante. È finalizzato a interventi per il cosiddetto ripristino, cioè un ritorno a uno stato naturale o quanto meno più naturale di quello attuale, di almeno il 20% degli ecosistemi terrestri e marini dell’Unione entro il 2030, inclusi foreste, terreni agricoli, aree urbane, fiumi e habitat marini.
La norma contiene evidentemente buoni propositi: chi non vorrebbe una natura incontaminata? Eppure il pacchetto non è passato agevolmente: 336 a favore contro 300 contrari. Il Parlamento europeo si è diviso per schieramenti: a favore sostanzialmente il blocco di centrosinistra, contro sostanzialmente il blocco di centrodestra, e in particolare il Partito popolare europeo. Da dove questa contrarietà?
Gli obblighi che la norma in discussione impone agli Stati membri potrebbero avere un impatto concreto sulla vita e sull’attività lavorativa di molti di noi. Accanto ai molti (e indubbi) effetti positivi su ognuno di noi legati al “restauro” dei nostri ecosistemi, ci potrebbero essere influenze di altro segno sui settori dell’agricoltura e della pesca. Per esempio, si prevedono il ripristino delle paludi per garantire la biodiversità, una forte riduzione dei pesticidi, l’aumento delle aree forestali, il recupero degli habitat marini: diminuirebbero quindi, fra le altre cose, i terreni destinati all’agricoltura e gli spazi destinati alla pesca, e inoltre, con la riduzione dei pesticidi, aumenterebbe il costo di fare agricoltura.
Questo ovviamente potrebbe generare un aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e, più in generale, del cibo, con ripercussioni a cascata su tutto il sistema. In momenti in cui l’approvvigionamento alimentare è – o quanto meno è da molti percepito – come meno scontato di quanto non fosse anni fa, ad esempio per le questioni legate all’impatto della guerra in Ucraina, tali effetti potrebbero risultare particolarmente pesanti. Inoltre, la norma potrebbe generare ulteriori appesantimenti burocratici per le imprese, e per i proprietari di case e terreni sottoposti a interventi previsti dalla norma, contribuendo a rallentare ulteriormente l’esecuzione di opere infrastrutturali di cui il nostro Paese ha così bisogno.
Tutto ciò non significa, evidentemente, che il pacchetto di norme vada di per sé valutato negativamente: anzi, è evidente che un’azione ben concepita e ben calibrata di tutela ambientale è (sempre, ma in particolare in questo momento storico di urgenza, legata anche al cambiamento climatico) indispensabile, e porta ampi benefici nel lungo periodo. Significa, invece, che l’efficacia e gli effetti della legge di ripristino della natura dipenderanno, come sempre accade, dai dettagli di come sarà “messa a terra”, e, soprattutto, dalla capacità di valutare anche in corsa gli effetti delle diverse norme di dettaglio, provvedendo a modificarle ove necessario. Sarà dunque necessario implementare il pacchetto con cura, in modo da ridurne l’impatto economico, in termini di aumento di prezzi ma anche di adempimenti burocratici sui cittadini e sulle imprese.
In modo altrettanto importante, la vicenda ci mostra alcuni aspetti relativi alla politica e all’opinione pubblica interessanti e allo stesso tempo preoccupanti. Su una norma ambientale di tale portata, si è registrata una spaccatura fra i due grandi gruppi politici europei. In parte, è probabilmente legata alle ormai prossime elezioni europee del 2024, potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri politici del Parlamento europeo. In vista di esse, è in atto un comprensibile tentativo dei diversi partiti di demarcare in modo più chiaro le diverse visioni e i differenti approcci alla soluzione dei problemi. Tuttavia, la polarizzazione sulle norme ambientali genera almeno due tipi di rischi. Il primo è che norme ambientali, approvate con maggioranze risicate, vengano poi emendate, e magari cancellate, da successive maggioranze di colore diverso. Questo genererebbe un costo di incertezza legislativa gravoso per molte imprese, frenando la crescita. Il secondo è che il dibattito sulla politica ambientale assuma contorni ideologici di cui proprio non si sente il bisogno: con una parte dello schieramento che accusa l’altra di non avere cura dell’ambiente, e l’altra che accusa la prima di non tenere conto degli effetti delle politiche sull’economia e quindi sugli standard di vita di ciascuno di noi.
Un simile scadente dibattito – centrato su “politiche ambientali: sì o no” – sposterebbe l’attenzione dell’opinione pubblica dalla concretezza degli effetti delle norme ambientali all’astrazione dell’ideologia. Farebbe perdere di vista, all’opinione pubblica e di conseguenza ai partiti, l’obiettivo principale: agire con politiche ambientali oculate e ben tarate, che, minimizzando l’impatto negativo di breve e medio termine sull’economia, favoriscano la crescita e il benessere nel lungo periodo. Condurrebbe quindi dritto a un peggioramento della qualità della legislazione, che facilmente sfocia in un peggioramento della qualità della vita per tutti noi.
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