Va messa in priorità nel sistema europeo la ricerca di un’ecopolitica realistica che armonizzi sostenibilità ambientale ed economica. La divergenza attuale tra le due pone rischi di crisi sistemica. Da anni il mio gruppo di ricerca studia il tema e ha trovato una soluzione probabilisticamente molto robusta.
La dico subito, semplificando: rallentare i vincoli normativi decarbonizzanti fino a quando saranno diffusi i mini-reattori nucleari (a fissione) a sicurezza intrinseca di nuova generazione, incentivandoli di più e accelerandoli, combinati con una matrice di altre fonti energetiche secondarie pulite sia intermittenti, sia continue. Lo scenario che indica la razionalità, efficienza ed efficacia economiche di questa soluzione mostra che l’eliminazione dei divieti per scopi decarbonizzanti nella normativa europea poi verrà più che compensata sul piano della decarbonizzazione stessa dal maggiore ricorso all’energia nucleare pulita.
È semplice: a) allunghiamo il periodo di uso dei combustibili fossili, accelerando però la ricerca di materiali equivalenti e meno carbonizzanti per i motori termici, per esempio biocombustibili ed e-fuel sintetici con base l’idrogeno, per lasciare sia più tempo di adattamento, sia un futuro al sistema industriale senza metterlo in crisi; b) per poi ottenere via traino dell’energia nucleare un abbattimento rapidissimo dei gas serra e dintorni che sono uno dei motivi del cambiamento climatico.
Tempi? Prima di questi sono rilevanti i modi: deve essere il mercato e non qualche idealista con letture insufficienti a decidere quando fare un salto tecnologico con obiettivo più pulizia ambientale. Con tale criterio una prima stima, calcolata valutando un buon ritmo di diffusione del nuovo mini-nucleare dal 2030, porta al 2050 (dove forse saranno già visibili i primi reattori a fusione iperpotenti) il periodo sia di decarbonizzazione veloce, sia di costi energetici molto bassi.
Sintetizzando, questa soluzione è molto più efficace, efficiente e meno pericolosa di quella che implica divieti, ecomulte, disastri industriali e sociali, ecc. Il ministero per l’Energia e l’Ambiente italiano (Mase) ha preso questa via. Ma va accelerata con forte – anzi fortissima – pressione sull’Ue.
Ma questa è solo una parte della soluzione che è utile per gli europei in quanto non producono petrolio e gas a sufficienza e pertanto devono importarli senza il potere di controllarne i prezzi e con rischi gravi di dipendenza geopolitica. Ma il problema rimane: il mondo continuerà ad andare avanti a petrolio, gas e carbone.
Due soluzioni, combinate: 1) nuove tecnologie di ecoadattamento per prevenire gli effetti di eventi climatici estremi perché la decarbonizzazione accelerata solo europea non cambierà il ciclo planetario; 2) competitività basata su un’efficienza energetica (bassi costi) tale da rendere decompetitivi i sistemi basati su fonti fossili.
Per inciso, i giovani del mio gruppo di ricerca, in interazione con think tank tecnologici, si sono talmente eccitati a immaginare gli oggetti di possibile supercompetitività basata sul nucleare diffuso e sempre più piccolo che tre di loro hanno integrato le rispettive carriere accademiche con progetti per creare start up. Dove? In America, ovviamente, mi hanno risposto. Perché se l’America e altri vedono il ciclo di supercompetitività possibile con il nuovo nucleare dovranno reagire. E quando l’America lo farà ha una superiorità tecnologica e finanziaria tale da andare ben oltre. La risposta mi ha fatto pensare che se gli europei vogliono fare qualcosa per il mondo e per sé stessi devono mostrare un effetto competitivo dell’energia pulita che costringa gli altri nel mondo a cambiare per competere nella stessa direzione. Molto meglio degli eco-summit Cop: evoluzione via competizione e imitazione. E tale riflessione è forse parte di quella strategica che stanno facendo alcune grandi aziende energetiche petrolifere, per esempio l’Eni che ha investito un’enormità sui futuribili reattori a fusione: la transizione ecologica promette business, se fatta nel modo giusto, la decarbonizzazione un fattore stimolativo se eliminate le norme restrittive. Fa riflettere.
Tra le riflessioni c’è quella che il cambiamento climatico è un fenomeno reale anche se ci sono dubbi di una parte della comunità scientifica che ciò sia solo dovuto alla carbonizzazione riscaldante dell’atmosfera. Nel dibattito tra ricercatori ho mostrato i dati Nasa sul riscaldamento planetario: questo è provato. E tale prova non permette di essere econegazionisti. La carbonizzazione prodotta dai gas serra potrebbe non essere così prevalente da ridurre il cambiamento climatico se solo decarbonizzassimo. Il pianeta ha da sempre variato il clima anche quando non c’erano gas serra, ma non possiamo negare un qualche contributo dei combustibili fossili e dell’antropizzazione pur criticando chi si affida a una sola causa del fenomeno. Quindi eliminiamo una delle possibili cause di contaminazione, i combustibili fossili con gradualità, non tanto o solo per ambientalismo, ma per proiettare l’economia verso più efficienza. E comunque spingiamo l’ecoadattamento per rendere meno vulnerabili i territori e la gente che ci vive.
Ecologia artificiale innovativa contro ecologia naturale conservativa? Il punto per scegliere è che da oggi in poi l’ecologia artificiale per rendere un territorio più amichevole e sicuro è possibile grazie alle nuove tecnologie: ti manca l’acqua, desalinizza quella di mare; previeni il rischio alluvionale modificando il territorio; troppo caldo o freddo, costruisci case, città e colture microclimatizzate, ecc. La scienza c’è, ma per l’energia necessaria all’ecoadattamento ci vuole la potenza e il basso costo di quella nucleare di nuova generazione.
www.carlopelanda.com
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