La strigliata all’Italia e alla sua gestione della pandemia a livello economico e sociale – giunta ieri dalla Commissione Europea – ha visto anche un punto forse poco sottolineato dai media dopo la presentazione del pacchetto di interventi economici di Bruxelles: anche sulla misura del blocco licenziamenti, non solo su debito e spesa, il nostro Paese è sotto la lente attenta della Commissione Ue. E ieri lo si è capito decisamente: «l’Italia è stato l’unico Paese Ue che ha introdotto un divieto universale di licenziamento all’inizio della crisi», spiega il commissario al Lavoro in Europa, Nicola Schmit.



Ebbene, tale misura – sulla quale vi è uno scontro serrato tra Draghi e il Centrosinistra non ancora risolto – viene considerata da Bruxelles come troppo vantaggiosa «per gli “insider”, cioè i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, a scapito dei lavoratori interinali e stagionali».

I TIMORI DELLA COMMISSIONE UE

Dal confronto con l’evoluzione del mercato del lavoro in tutti gli altri Stati europei dove il blocco dei licenziamenti non è stato inserito, la Commissione Europea trae l’importante monito per l’Italia: «il divieto di licenziamento non è stato particolarmente efficace e si è rivelato superfluo in considerazione dell’ampio ricorso a sistemi di mantenimento del posto di lavoro». Sempre in conferenza stampa, affianco ai due commissari all’Economia Dombrovskis e Gentiloni, Schmit ha raccomandato come via preferibile alternativa al blocco «il mercato del lavoro più attivo, puntando sulla riqualificazione delle competenze». Detto fuori dai denti con esplicito riferimento al nostro Paese, il commissario al Lavoro aggiunge «Non si può congelare per un lungo periodo il mercato del lavoro. Ma si deve facilitare la transizione». Certo, a breve il Next Generation Eu porterà linfa fresca e investimenti sulle varie riforme che urgono nel nostro Paese, ma farle con ancora inserito il blocco dei licenziamenti – come anche con un’eccessiva spesa assistenziale – rischierebbe di creare ancora maggiori «squilibri eccessivi» e in ultima analisi dannosi per l’economia tanto italiana quanto continentale.



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