Recentemente endorsato in quel di Atreju dalla premier Giorgia Meloni, il – per ora probabile con una decisione ufficiale attesa non prima di gennaio – futuro leader del gruppo europeo Ecr (ovvero i Conservatori e riformisti) Mateusz Morawiecki ha rilasciato una breve intervista per il Corriere della Sera nella quale ha anticipato la sua linea di partito mettendo immediatamente in chiaro che “sarà una continuazione creativa” di quanto fatto fino ad ora dalla nostrana Meloni con la quale lo stesso Morawiecki si dice “esattamente sulla stessa lunghezza d’onda” a partire – quasi naturalmente – dai rapporti con gli altri gruppi politici.
Soffermandosi un attimo su questo punto – infatti – Morawiecki spiega che il suo Ecr sarà “aperto a lavorare con chiunque abbia a cuore il futuro dell’Europa, la competitività europea e i nostri valori”, non chiudendo le porte – come d’altronde fatto da Meloni – né ai “partiti di destra con i Patrioti e i sovranisti” né “al Ppe”; il tutto confermando di avere “ottimi rapporti con Orbán e Abascal” – fuorché per quanto riguarda “il rapporto con la Russia nella guerra in Ucraina” – ma un po’ meno con Weber ricordando che con la Commissione è intervenuto “in modo molto aggressivo nella politica polacca”.
Le proposte di Mateusz Morawiecki per ridare vigore dell’Ue: “Stop alla centralizzazione a favore della sovranità nazionale”
Ricollegandosi a quest’ultima accusa rivolta a Weber e alla sua Commissione europea, il polacco Morawiecki ci tiene a mettere in chiaro che “l’Ecr sotto la mia guida proporrà una visione nuova e ambiziosa” mirando a sostenere in particolare “l’idea della sovranità degli Stati nazionali” contro la costante e sempre più ampia “centralizzazione dell’Ue” che – a suo dire – sta facendo perdere all’Unione sia “la sua competitività [che] la sua identità”.
Il punto di partenza secondo Morawiecki sarà “una profonda riforma dell’Unione [per] dobbiamo porre fine all’eccesso di potere giudiziario dell’Ue” tornando al concetto di “nazioni libere” che cooperano tra loro ed abbandonando quello preponderante oggi dell’eccessiva burocratizzazione e proprio in tal senso per finanziare la difesa comune e preservare la competitività la sua idea è quella di proporre “una legge per combattere i paradisi fiscali” che permetterebbe di recuperare “circa 250/300 miliardi all’anno” semplicemente costringendo le imprese a “pagare le tasse nel luogo in cui operano”.