Sembra ormai fatta per l’accordo Ue-Mercosur, cinque anni dopo l’ultima intesa poi naufragata nel 2019. A Montevideo, capitale dell’Uruguay, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato trionfante, ormai dieci giorni fa, l’intesa politica con i Paesi del Mercosur (Brasile, Argentina, Bolivia, Uruguay e Paraguay) per un mega-accordo commerciale. Il più grande mai siglato dall’Ue, con un mercato di 780 milioni di persone e, dice la Commissione, straordinarie opportunità per le imprese europee e oltre 4 miliardi di euro risparmiati.



A causa di una serie di resistenze dei singoli Paesi, dopo oltre due decenni di negoziati l’intesa rischiava di restare carta straccia. Invece si è riusciti a trovare l’intesa. L’accordo deve adesso passare al vaglio del Consiglio europeo e dell’Europarlamento. E la Commissione deve ancora decidere la base giuridica per la ratifica. Per la sua entrata in vigore se ne riparlerà nella seconda metà del 2025.



Quasi con un colpo di mano la Presidente Von der Leyen, approfittando dell’estrema debolezza di Macron, alle prese con la formazione del secondo Governo in pochi mesi, ha deciso di forzare la mano e andare contro non solo all’Eliseo, ma anche agli interessi degli agricoltori, che contestano i termini dell’accordo. Ma prima di analizzare i motivi per cui il settore agricolo è sul piede di guerra contro l’accordo vediamo brevemente di capire più nel dettaglio quelli che sono i principali punti dell’accordo.

Si tratta, come detto, di un accordo tra l’Ue e i principali Paesi sudamericani di cui si è cominciato a discutere nel lontano 1999, quando il mondo era assai diverso da oggi (basti pensare al fatto che la Cina sarebbe entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) solamente nel 2001). Un accordo, per giunta, cui termini generali sono stati negoziati nel 2019, prima dell’epidemia da Covid-19.



Questi limiti emergono anche alla luce degli ultimi dati di Bruxelles. Nel 2023 le esportazioni europee verso i Paesi del Mercosur ammontavano a 55,7 miliardi di euro. E quelle del Mercosur verso l’Ue si sono attestate a 53,7 miliardi di euro. Mentre nello stesso anno l’export verso gli Stati Uniti è stato di quasi dieci volte maggiore, raggiungendo i 502 miliardi di euro. Nel 2019, l’intesa politica raggiunta era poi fallita per lo stop di vari Stati Ue a fronte delle politiche anti-ecologiche in Amazzonia dell’allora Presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Il ritorno al potere a Brasilia di Luiz Inácio Lula da Silva ha rilanciato il negoziato. Per arrivare alla conclusione, l’Ue ha ottenuto impegni vincolanti sul rispetto dell’Accordo di Parigi sul clima e lo stop della deforestazione entro il 2030.

L’accordo firmato vede nello specifico l’eliminazione dei dazi sull’82% dei prodotti agricoli del Mercosur e sul 93% dei prodotti europei. Ci saranno quote per prodotti considerati sensibili, come la carne di manzo e di pollo. Nel giro di dieci anni, poi, saranno revocati i dazi dei prodotti industriali provenienti dal Mercosur. E quest’ultimo li eliminerà sul 90% dei prodotti industriali europei. Ma, come detto, gli agricoltori soprattutto francesi e italiani sono contrari a un simile accordo perché ritengono che in molti casi i loro colleghi sudamericani non rispetti le dure regole che invece l’Europa ha da tempo imposto loro. «I prodotti che varcheranno le porte europee dovranno rispettare le norme sanitarie e fitosanitarie», ha ricordato Jean-Michel Schaeffer, Presidente dell’associazione Anvol che raggruppa produttori di pollame. Non meno cauta l’associazione europea degli agricoltori. Ma anche le associazioni di categoria italiane chiedono un’immediata revisione dell’accordo, come affermato dal Presidente di Coldiretti Ettore Prandini, “L’accordo tra Unione europea e i Paesi del Mercosur va cambiato. C’è in gioco la salute dei cittadini e la sopravvivenza di tanti agricoltori e allevatori europei. Non accetteremo questa rottamazione dell’agricoltura europea decisa a tavolino, con un accordo che apre le porte all’arrivo di prodotti agroalimentari con standard di sicurezza e qualitativi inferiori ai nostri, prodotti rischiosi per i consumatori perché ottenuti con pesticidi, antibiotici, ormoni che in Europa sono vietati da tantissimi anni”.

E occorre dire che in alcuni casi le proteste degli agricoltori sono effettivamente condivisibili. Gli allevatori europei di carne bovina e pollame, per esempio, sostengono di non essere in grado di competere con i produttori sudamericani, che beneficiano di costi di manodopera più bassi, di aziende agricole più grandi e di normative meno severe rispetto agli standard dell’Ue su pratiche quali l’uso di ormoni della crescita. A ottobre, un audit della Commissione europea ha rilevato che il Brasile, il più grande esportatore mondiale di carne bovina, non può garantire che le sue esportazioni verso l’Ue siano prive dell’ormone della crescita “estradiolo 17-β”, vietato in Europa da decenni. Insomma, rimangono quindi ancora ombre su un accordo che certamente aprirebbe per alcuni settori come per esempio quello dell’automotive, duramente colpito da una crisi senza precedenti, in tutta Europa (non a caso la Germania è una delle nazioni a premere maggiormente per la ratifica dell’accordo), ma anche il settore farmaceutico vede nel grande mercato sudamericano opportunità importanti per il suo business.

D’altra parte, il fatto che Trump possa mettere, come annunciato, pesanti dazi commerciali su alcuni prodotti europei potrebbe essere un’ulteriore spinta per cercare di migliorare ancora l’accordo e procedere poi con la ratifica. Del tema dovrà occuparsene, in qualità di Vicepresidente esecutivo con la supervisione anche sul tema agricoltura, il neocommissario europeo alla Coesione, Raffaele Fitto, che a proposito in una riunione di Confagricoltura, ha mostrato un atteggiamento aperto a possibili miglioramenti e aggiustamenti: “L’accordo è sottoscritto, ma abbiamo le condizioni per rileggerlo bene e individuare elementi che arrivano dalle domande del mondo agricolo”.

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