Molte decisioni di vasta portata sono state recentemente prese in Ue con l’aiuto di provvedimenti di emergenza. Una soluzione efficiente durante un’emergenza, ma non del tutto democratica, visto che così è stato “aggirato” il Parlamento. Infatti, secondo Süddeutsche Zeitung, questa potrebbe essere la prova che il sistema politico europeo sta raggiungendo i suoi limiti. Di fatto, l’Unione europea è in modalità crisi permanente da oltre dieci anni. Dalla crisi dell’euro all’emergenza rifugiati, passando per la Brexit, la pandemia Covid e la guerra in Ucraina: è evidente l’importanza e la necessità di un intervento europeo, ma visto che le decisioni dovevano essere prese in tempi stretti, è stata “accorciata” la consueta procedura legislativa. Dunque, se ultimamente avete notato rapidità nelle decisioni europee, non è merito della determinazione politica delle o dell’abilità dei politici europei, ma perché Bruxelles ha dovuto rinunciare ai suoi lunghi procedimenti per affidarsi ad uno strumento di crisi, l’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Ue.
Consente, in caso di emergenza, nello specifico «se sorgono gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell’energia», di adottare misure non meglio specificate, invocando la solidarietà tra gli Stati membri. Il secondo paragrafo prevede che si possa fornire assistenza finanziaria ai singoli Stati che si trovano o possono trovarsi in difficoltà per disastri naturali o eventi eccezionali. In questo modo, possono essere adottati interventi di ampia portata senza chiedere il parere del Parlamento europeo, che va semplicemente “informato” in caso di sovvenzioni. Ma così è stata lasciata all’Ue una notevole quantità di nuove responsabilità (e potere), anche se per un lasso temporale limitato.
“MANCA EFFETTIVO CONTROLLO DEMOCRATICO”
L’Unione europea è tenuta a coordinare, invece si è ritrovata molto spesso a dirigere, chiedendo riforme e investimenti, imponendo controlli sui pressi e tassando i profitti in eccesso delle società energetiche, per fare degli esempi. Questo va in parte ben oltre la necessità di fronteggiare le crisi. Infatti, un osservatore citato dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung parla di «cambio di paradigma». Di fatto, l’Ue indirettamente persegue una politica economica che però non è autorizzata a perseguire. Da un punto di vista prettamente giuridico, la procedura è regolare, anche perché la Corte di giustizia europea può garantire che l’articolo non venga usato in modo eccessivo. D’altra parte, viene bypassato il Parlamento europeo, quindi il prezzo che l’Ue sta pagando per la sua efficienza è la democrazia. Infatti, Päivi Leino-Sandberg dell’Università di Helsinki e Matthias Ruffert dell’Università Humboldt di Berlino parlano di una «nuova supercompetenza» che non è soggetta a un effettivo controllo democratico, perché il Parlamento europeo viene messo da parte, mentre quelli nazionali sono coinvolti in maniera limitata. Anche Nicolai von Ondarza della Stiftung Wissenschaft und Politik (Istituto tedesco per gli affari internazionali e la sicurezza) riscontra un «deficit nella legittimità democratica» della politica di crisi europea. In uno studio, critica in particolare l’insufficiente trasparenza dei processi decisionali: «Molte cose sono state decise dai capi di Stato e di governo tra di loro durante i vertici, e il fatto che non sia chiaro su chi ricada la responsabilità politica di questi passi».
PARLAMENTO UE AGGIRATO, MA NON REAGISCE…
Per Nicolai von Ondarza, in questo modo cambiano gli equilibri nell’Ue, perché emerge un «dominio molto più forte dell’esecutivo, mentre il Parlamento europeo è stato emarginato». D’altra parte, fa notare che lo stesso Parlamento europeo non ha quasi protestato contro questa situazione, dando così un «consenso permissivo». La situazione è nota ovviamente anche in Italia. Il giurista Alberto Alemanno, infatti, in una recente conferenza sullo stato dell’Ue ha avvertito: «Da tempo operiamo al limite esterno di ciò che i trattati consentono, e in alcuni casi lo stiamo già superando. C’è una tensione crescente tra ciò che i capi di Stato e di governo e la Commissione fanno effettivamente e ciò che è loro consentito». L’ultimo esempio sono le proposte della Commissione Ue sulla produzione di armi dell’Ue per aiutare l’Ucraina. In questo caso, è l’articolo 41.2 del Trattato Ue a finire nel mirino, perché stabilisce che «le spese risultanti da operazioni aventi implicazioni nel settore militare o della difesa» non possono essere finanziate dal bilancio europeo, ma sono previsti 500 milioni di euro dal bilancio Ue. Non sarebbe allora meglio adattare il sistema politico dell’Ue alla realtà per evitare di ricorrere a fondi speciali e poteri di crisi? Non a caso il cancelliere tedesco Olaf Scholz propone, ad esempio, di smantellare i diritti di veto nazionali. In alternativa, si dovrebbe dare una definizione più precisa della crisi, precisare chi è tenuto a dichiararla, quali competenze aggiuntive vengono attribuite, in che modo coinvolgere il Parlamento europeo, quando finisce. Per fare ciò, però, bisognerebbe riformare i trattati, un tabù in Europa.