Il Consiglio europeo del 28 marzo con la presenza dei ministri dell’Interno dei Paesi membri ha dato il via libera al programma di aiuti per i profughi ucraini titolari e potenziali titolari del permesso di soggiorno temporaneo in applicazione della direttiva europea 2001/55. 

Il dispositivo, attuato per la prima volta con decisione unanime nella precedente riunione del 3 marzo u.c., prevede la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno temporaneo della durata di un anno, rinnovabile per altri due, per far fronte a dei flussi straordinari di sfollati provenienti da aree coinvolte da conflitti bellici e comunque impossibilitati a rientrare in condizioni di sicurezza nel Paese di origine. Il permesso consente ai titolari di circolare liberamente nei territori dei Paesi aderenti all’Ue, l’accesso ai servizi pubblici di diversa natura e la possibilità di avere un lavoro regolare.



Per gli aiuti alle persone interessate, e per il sostegno dei Paesi di accoglienza, sono stati stanziati 3,5 miliardi di euro come prima tranche dei provvedimenti che, sulla base delle dichiarazioni rilasciate dalla Commissione europea, saranno implementati per corrispondere all’evoluzione concreta del fenomeno. 



La Commissione sta elaborando un programma operativo, coordinato dalla Agenzia europea per l’asilo e Frontex con l’adozione di una Piattaforma della solidarietà volta a monitorare l’evoluzione dell’accoglienza e l’attuazione degli interventi, finalizzato a orientare la distribuzione delle risorse per varie finalità (prima accoglienza, trasferimenti territoriali sulla base della volontarietà delle persone, ricongiunzioni familiari, accessi ai servizi, alla formazione e al lavoro, tutela dei minori, contrasto alle forme di sfruttamento…). I titolari del permesso di soggiorno temporaneo possono inoltrare la richiesta di un permesso di asilo o di protezione internazionale nel Paese di accoglienza prescelto.



Le stime degli organismi internazionali preposti quantificano in 7 milioni il numero delle persone sfollate e in 3,9 milioni quelle già fisicamente approdate nei Paesi aderenti all’Ue, concentrate per la stragrande parte nella Polonia (2,2 milioni) e negli altri Paesi confinanti con l’Ucraina (1,5 milioni in Romania, Moldavia, Ungheria e Slovacchia). 

In Italia sono già approdati oltre 75 mila ucraini, per la maggior parte donne (39 mila) e minori (29 mila). Il 90% di queste persone ha trovato una collocazione presso le reti familiari o parentali orientate dai 240 mila cittadini ucraini già presenti in Italia, con una particolare concentrazione nelle aree metropolitane di Roma, Milano e Napoli e Bologna. 

Il flusso complessivo è già superiore di 5 volte al precedente storico dei conflitti nei territori dell’ex Repubblica Jugoslava degli anni ’90 dello scorso secolo. Viene gestito in tutti i Paesi di accoglienza con una straordinaria mobilitazione spontanea della società civile, delle famiglie e delle organizzazioni del volontariato, in piena sintonia con l’orientamento assunto all’unanimità dai Governi nazionali su una materia, quella dell’accoglienza dei profughi, che rimane oggetto di storiche divisioni tra i Paesi aderenti all’Ue.

La decisione assunta dal Consiglio europeo si propone di sburocratizzare il rilascio dei permessi di soggiorno sulla base delle urgenze e del fenomeno bellico che ha generato le popolazioni sfollate, ma non prevede alcuna obbligatorietà dei trasferimenti dei profughi in altri Paesi sulla base di criteri obbligatori. Un’esigenza manifestata dai ministri dell’Interno della Polonia e della Germania in una lettera recente inoltrata ai colleghi del Consiglio europeo, che sollecita la presa in considerazione di una redistribuzione dei profughi sulla base di criteri condivisi.

In termini pragmatici, è assai probabile che in prima istanza il programma europeo, e quelli in corso di definizione negli ambiti nazionali, saranno orientati a sostenere le scelte spontanee già consolidate da parte degli sfollati erogando sostegni al reddito straordinari alle persone e ai nuclei familiari ucraini, ovvero alle famiglie e alle associazioni che si sono fatte carico della loro accoglienza. Per quanto riguarda l’Italia, le ipotesi prese in considerazione, e che dovrebbero diventare oggetto di un’ordinanza del Commissario della Protezione civile Fabrizio Curcio, sono quelle dell’erogazione minima di 300 euro mensili per ogni persona adulta titolare di un permesso temporaneo di soggiorno, e di ulteriori 150 euro per ogni minore a carico, fino a un massimo di 900 euro per nucleo familiare. Per tale scopo e per finanziare l’accesso al sistema sanitario tramite le regioni sono stati stanziati 348 milioni, aggiuntivi alle risorse ordinarie già disponibili per le attività di accoglienza per i profughi, per un importo complessivo superiore ai 500 milioni di euro.

L’attuale programma della Protezione civile è tarato provvisoriamente sull’accoglienza di 83 mila persone, tra le quali 60 mila nell’ambito delle famiglie e 15 mila nelle reti messe a disposizione dalle organizzazioni del Terzo settore.

L’evoluzione dei programmi europei nazionali dipenderà da quella più generale dalla durata e dall’esito del conflitto bellico. Nelle stime della Commissione europea, confermate dalle opinioni manifestate dalle persone sfollate, rimane viva l’intenzione da parte di queste ultime di rientrare nei territori di origine se le condizioni lo permetteranno. È lo scenario più auspicabile, destinato a ridimensionare gli interventi rivolti all’accoglienza e la mappa dei sostegni per privilegiare quelli rivolti a rendere accessibili, ed economicamente sostenibili, le condizioni del rientro nei luoghi di partenza. Il prosieguo del conflitto bellico richiederebbe invece un’organizzazione dell’accoglienza, e un’auspicabile distribuzione sul complesso dei Paesi europei, che non viene attualmente presa in considerazione.

Per molti aspetti la vicenda Ucraina è destinata a diventare uno spartiacque nella storia delle Istituzioni europee anche per le politiche migratorie. Sono in molti a ritenere che lo slancio solidale che si è concretizzato nell’occasione della crisi ucraina tra tutti i Paesi aderenti all’Ue possa prefigurare la condizione di riformare i trattati di Dublino alla luce delle scelte intraprese nell’ultimo mese. Per arrivare a estendere l’attuazione della direttiva 2001/55 al complesso degli ingressi delle persone che richiedono il permesso di soggiorno per motivi di protezione internazionale e a introdurre criteri obbligatori per la distribuzione dell’accoglienza tra i Paesi dell’Ue.

L’importanza di rafforzare le competenze e il ruolo delle Istituzioni europee in materia di gestione dei flussi migratori, e di far convergere le politiche migratorie con quelle della politica estera, della difesa, e della cooperazione economica, è emersa in modo tangibile. Ma l’attuazione della direttiva 2001/55, e il rilascio dei permessi temporanei per la gestione dei flussi straordinari di persone sfollate, non può essere fraintesa con il rilascio automatico dei permessi di soggiorno per motivi di protezione internazionale, aggirando la verifica oggettiva e soggettiva dei requisiti per la presentazione delle domande. È un errore banale e che deve essere evitato. Infatti, nel dispositivo adottato i titolari dei permessi di soggiorno temporaneo devono inoltrare una specifica domanda per motivare la richiesta di un permesso di asilo o di protezione internazionale.

Le nuove politiche migratorie sono destinate inevitabilmente a essere condizionate dall’evoluzione dei nuovi equilibri internazionali. Interpretare quanto sta avvenendo come una sorta di pentimento delle nazioni del blocco di Visegrad, che nella fattispecie si ritrovano a svolgere il ruolo di Paesi di prima accoglienza per i profughi, rischia di essere fuorviante. Giova a tale proposito ricordare che sino a pochi mesi fa molte delle preoccupazioni che venivano espresse da questi Paesi sui comportamenti della Russia e della Bielorussia venivano trascurate e in alcuni casi persino utilizzate per minacciare sanzioni nei loro confronti. 

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