In Germania si è insediato il nuovo Governo, chiamato ad affrontare anche una situazione economica non facilissima. L’Indice Zew di dicembre sulle aspettative degli investitori istituzionali tedeschi è infatti sceso rispetto al mese precedente, anche se meno delle attese.
Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, ricorda che «già prima della pandemia l’economia teutonica aveva cominciato a rallentare».
Per quali ragioni?
Certamente le tensioni commerciali tra Usa e Cina, come pure con la Russia, non avevano aiutato l’economia tedesca, come del resto di tutta l’Eurozona. La Germania ha potuto crescere fortemente per 10-15 anni grazie a un boom dell’export anche all’interno dell’Eurozona dovuto a una moneta forte come il marco, senza che gli altri Paesi, tra cui l’Italia, potessero ricorrere a svalutazioni competitive come in passato. Nello stesso tempo, sempre grazie a una moneta forte, ha potuto importare prodotti sostitutivi di quelli dei Paesi europei. Questo modello è andato in crisi sia a causa del dieselgate che del clima di incertezza sulle tendenze tecnologiche relative al settore dell’auto. Poi è arrivata la pandemia.
E la Germania ha retto meglio di altri Paesi il colpo.
Sì, nella prima fase, forse anche con un po’ di fortuna, ha potuto contare su un’intera frontiera, quella orientale, molto importante per i suoi rapporti commerciali, sicura, senza particolari rischi di contagio. A partire dalla seconda ondata, però, le cose sono cambiate e adesso la Germania si sta rivelando indietro rispetto a noi per quanto riguarda la campagna vaccinale. Alcuni suoi colossi, come Lufthansa, hanno subito contraccolpi pesanti non solo per le limitazioni agli spostamenti, ma anche per via di una globalizzazione andata in tilt con la pandemia. Basti pensare che tra i primi cinque settori dell’export tedesco, ben tre dipendono dalle forniture di componenti elettronici e quindi ora vanno a rilento.
Quali sono le prospettive per l’economia tedesca nel 2022?
La Germania ha dei problemi da affrontare, ma penso che l’anno prossimo possa gradatamente riprendere a macinare Pil e valore aggiunto. Sempre che non ci siano fenomeni ulteriori legati al Covid che possano compromettere, mediante lockdown severi, l’avvio del 2022.
Vista l’integrazione che c’è, soprattutto nel manifatturiero, tra l’economia tedesca e quella italiana, non dovremmo quindi subire grossi contraccolpi.
No, per fare un esempio, l’automotive vale solamente il 7% dell’export italiano. Ci sono invece settori, ancora definiti nicchie, nonostante il valore delle loro esportazioni, come per esempio gli yacht e le macchine per imballaggi, dove le filiere hanno mostrato una grande tenuta senza risentire di problemi di approvvigionamento. Se la Germania riparte l’anno prossimo abbiamo tutto da guadagnare.
Ci sono timori e incertezze sull’atteggiamento che avrà il nuovo Governo tedesco rispetto alla riforma delle regole del Patto di stabilità europeo. Secondo lei, cosa dobbiamo aspettarci da Berlino sotto questo punto di vista?
Credo che la Germania, proprio perché si sta accorgendo di attraversare un momento difficile, sarà molto attenta alle sue mosse su questo terreno. Penso che saranno soprattutto gli imprenditori a evidenziare al mondo politico che al loro Paese serve un’Europa che cresca, perché questo avvantaggerebbe anche i prodotti tedeschi, che possono trarre giovamento anche dall’attuazione dei Recovery plan dei diversi Stati. Ritengo che anche a Berlino possa ormai essere chiaro che non c’è bisogno di austerity, di avanzi primari per abbassare dei rapporti che non vengono più guardati da nessuno oggi.
Non si possono però sottovalutare i livelli di debito/Pil raggiunti in alcuni Paesi europei…
Non intendo certo sottovalutare il debito pubblico, ma credo abbia poco senso, con una Francia arrivata al 115% e una Spagna al 120%, cercare di rappresentare l’Italia come una sorta di nuova Grecia. Il nostro Paese, come tutti gli altri, ha dovuto fare i conti con il Covid e ha peggiorato il suo rapporto debito/Pil, ma ha anche dimostrato che con una ricetta diversa dall’austerità si può uscire rapidamente dalla crisi, migliorando il rapporto stesso. Considerando che costruzioni e industria tengono e che si potrà contare anche sui primi investimenti relativi all’attuazione del Pnrr, nel 2022 possiamo continuare a migliorarlo.
Verrebbe da dire: sempre che la politica nostrana non faccia pasticci.
Ma anche il mondo sindacale, che in parte sta mostrando in questo momento una grande immaturità. Sembra che non sia chiaro che in un momento come questo, in cui l’inflazione rischia di erodere il potere d’acquisto, è importantissimo non mettere a rischio la ripresa che può creare posti di lavoro, tenere a buoni livelli i consumi e rafforzare le imprese. In questa situazione, battaglie e rivendicazioni che paiono guardare al passato non portano alcun beneficio al Paese.
(Lorenzo Torrisi)
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