Nell’imminenza dell’approvazione della Legge di bilancio – che prevede ancora una volta misure per l’industria localizzata nell’Italia meridionale, come la riduzione anche per il 2021 del 30% del costo del lavoro, già in vigore dallo scorso 1° ottobre e sino al 31 dicembre di quest’anno – sarà opportuna una rapida rassegna dell’apparato manifatturiero insediato nel Mezzogiorno, necessaria, a nostro avviso, per smentire la visione di coloro che si ostinano a presentare il Sud alle soglie della desertificazione industriale. Da molti anni ormai non è così e questo bisogna dirlo ad alta voce, soprattutto in riferimento alla presenza in ogni territorio del Meridione di tante grandi imprese italiane ed estere cui si affiancano, sia pure con diversa densità quantitativa, tantissimi di cluster di Pmi, anche in regioni come il Molise e la Calabria che, invece, ne sembrerebbero prive.



Intanto è opportuno precisare che per l’Ue, ai fini del godimento degli incentivi, sono considerate grandi imprese quelle da 250 ula-unità lavorative annue in su, o con un totale di bilancio di 43 milioni di euro. Le grandi imprese in Italia sono circa 3.400 e, pur rappresentando solo lo 0,1% delle sue aziende, occupano il 20,7% dei loro addetti, generano il 31,7% del valore aggiunto e realizzano il 41,3% degli investimenti, trainando nei comparti strategici – siderurgia, automotive, aerospazio, chimica, energia, agroalimentare, Ict, navalmeccanica, tac – ramificate supply chain. (fonte: Annuario Statistico Italiano 2019-Istat).



Questa funzione trainante è ancora più avvertita nell’Italia meridionale, ove si localizzano – solo per citare alcune megafabbriche – lo stabilimento siderurgico di Taranto (8.200 addetti diretti), la FCA a S.Nicola di Melfi (7.247 occupati), la Sevel in Val di Sangro (6.500), tutte supportate da lunghe filiere di attività indotte; impianti di componentistica con elevati tassi di occupazione facenti capo a TD-Bosch, Marelli, Magna, Skf, Bridgestone, Denso Manufacturing, Adler, distribuiti in diverse regioni; le maggiori raffinerie nazionali a Priolo, Augusta, Milazzo e Sarroch; vasti stabilimenti aeronautici della Leonardo e della Avio nel Napoletano, a Foggia, Grottaglie (TA) e Brindisi; potenti centrali elettriche di Enel, Edison, Sorgenia, Enipower, Erg in varie province; imponenti impianti petrolchimici della Versalis a Brindisi e Priolo con le relative supply chain; costruzioni navalmeccaniche di Fincantieri a Castellammare di Stabia e Palermo, con il grande Arsenale della Marina Militare a Taranto; la fabbrica a Catania di assoluto rilievo nazionale nell’Ict della STMicroelectronics con 4.200 persone; avanzati impianti farmaceutici fra gli altri di player mondiali come Novartis, Pfizer, Sanofi, Merck, Dompé; stabilimenti cartotecnici dell’Istituto Poligrafico dello Stato a Foggia, del Gruppo multinazionale Seda nel Napoletano e della Fater a Pescara; grandi fabbriche di materiale e segnalamento ferroviario a Napoli, Caserta e Reggio Calabria; i maggiori pozzi petroliferi on shore d’Europa in Val d’Agri e nella valle del Sauro in Basilicata ove estraggono Eni, Shell, Total, Mitsui, supportate da cluster di Pmi impiantistiche; cementerie di Buzzi Unicem, Italcementi, Colacem; vetrerie di multinazionali come Pilkington e Owens Illinois; decine di siti di alcune delle maggiori industrie agroalimentari italiane ed estere come Ferrero, Barilla, Granarolo, Parmalat, Coca Cola, Birra Peroni, Unilever, Heineken, Casillo, De Cecco, Divella, Princes Mitsubishi, Valfrutta, Orogel, Giv, La Doria, tutte con attività indotte molto ramificate.



Queste industrie hanno aumentato l’occupazione, o almeno la stanno conservando anche in tempi di pandemia, alimentano solide filiere collegate, attraggono nuovi investimenti anche dall’estero, sviluppano competenze coerenti con l’offerta di lavoro locale. Secondo dati del Mise, tuttavia, nel periodo 2013-2018 il 68% delle agevolazioni complessive è stato riservato alle Pmi e il 32% alle grandi imprese. Inoltre, dei 3,8 miliardi di incentivi accordati alle Pmi, 2,3 miliardi lo sono stati da Amministrazioni centrali e 1,5 miliardi da quelle regionali. Nello stesso periodo anche le grandi aziende hanno goduto di 1,6 miliardi di agevolazioni da Amministrazioni centrali e 260 milioni da quelle regionali.

Ora nel nuovo ciclo di investimenti con fondi comunitari per il periodo 2021-2027 bisognerebbe continuare a consentire – nel Mezzogiorno e nelle altre aree sottosviluppate dell’Ue – alle grandi imprese di beneficiare di incentivi per acquisire attivi materiali, o almeno per promuovere ricerca e innovazione, efficienza energetica e generazione di energie rinnovabili.

Certo, è sicuramente opportuno voler rafforzare le Pmi che in quasi tutti gli Stati dell’Unione rappresentano di gran lunga la maggioranza dei loro universi societari, ma è altrettanto vero che i big player, realizzando investimenti ben superiori per dimensioni e caratteristiche a quelli delle piccole e medie aziende, sono in realtà i soggetti imprenditoriali grazie ai quali l’Europa comunitaria può competere con successo con Stati Uniti e Cina; pertanto dovrebbe essere interesse comune delle maggiori economie dell’Unione europea rafforzare ulteriormente i loro competitor più forti, favorendone anche aggregazioni e fusioni sovranazionali. La nascita da gennaio 2021 di Stellantis, che scaturirà dall’unione dei gruppi automobilistici PSA e FCA, rappresenta un esempio eclatante nella direzione appena indicata.

Pertanto è bene ricordare che, mentre Polonia e Ungheria (con la Slovenia) provano a fermare bilancio comunitario e Recovery fund, chiedendo che l’ottenimento delle risorse sia sganciato nei loro confini nazionali dal rispetto delle norme di uno Stato di diritto – come invece hanno giustamente stabilito gli altri Paesi dell’Ue – si discute molto fra gli addetti ai lavori se le grandi aziende europee potranno godere anche nel nuovo ciclo di finanziamenti 2021-2027 delle agevolazioni di cui hanno sinora fruito e che, in molti Paesi come il nostro, hanno consentito a esse di promuovere negli ultimi vent’anni nuovi massicci investimenti soprattutto nelle regioni meno sviluppate. In proposito, la preoccupazione è palpabile fra i top manager dei grandi gruppi perché un preciso orientamento della Commissione e di una parte del Parlamento europeo vorrebbe invece riservare solo alle Pmi le agevolazioni cui sinora erano ammesse anche le aziende maggiori.

Si consideri al riguardo che solo la Regione Puglia con il suo sistema di incentivazione per le grandi imprese incentrato sui contratti di programma, fra il 2014 e il 2020 ne ha finanziati con 458 milioni di agevolazioni ben 62 che hanno avviato investimenti per 1,2 miliardi, di cui 491 milioni destinati ad attività di ricerca e sviluppo, con un’occupazione complessiva di 15.614 unità, di cui 1.322 nuovi addetti.

Il nostro Paese e le sue aree meridionali, dunque, devono difendere e valorizzare il patrimonio tecnologico e professionale delle grandi aziende, favorendone sempre di più in esclusive logiche di mercato sinergie con le Pmi.