Il roadshow di Confindustria presso le principali associazioni territoriali alla presenza dei canditati di tutti i partiti alle prossime elezioni europee restituisce informazioni molto interessanti che potrebbe essere utile condividere. Certo, non tutte le cose dette in pubblico per catturare la benevolenza dell’uditorio saranno vere e i politici o aspiranti tali non hanno esattamente la fama dei santi in Paradiso, ma qualche linea di tendenza la si può cominciare a tracciare.
Intanto sono scomparsi i fautori dell’uscita del Paese dall’Unione o dall’euro. Nessun esponente grillino o leghista – i più esposti su quel versante – si è espresso per abbandonare la casa e la moneta comune. Pur con tutte le critiche del caso – molte delle quali purtroppo a proposito -, l’opzione estrema di tornarcene per conto nostro a contare le lirette è passata a tutti di mente. Forse ha fatto scuola il caso della Brexit e delle conseguenze sull’economia inglese.
Poi si avverte una maggiore consapevolezza dei vincoli di bilancio. Per quanto l’austerità sia da molti ritenuta una brutta bestia – e anche in questo caso con buone dosi di ragione – nessuno dei probabili futuri europarlamentari incontrati in giro per l’Italia si spinge a considerare l’eventuale salto dei conti pubblici un accidente di poco conto. Né, tantomeno, si scherza più sullo spread sottovalutando l’impatto che ha sull’intera struttura dei tassi d’interesse.
Insomma, sembra che l’ubriacatura del noviziato – in particolare per le formazioni gialle e verdi che si preparano a festeggiare un anno di governo nazionale – sia in parte smaltita e abbia lasciato il posto a un atteggiamento decisamente più sobrio. Se fosse un ravvedimento solo a parole sarebbe già qualcosa, considerando i danni che dichiarazioni fuori controllo possono produrre alla tenuta di un sistema che si regge in buona misura sulla reputazione e sulla fiducia.
Naturalmente tutto questo non basta a individuare il passaggio per attraversare lo stretto, che diventa sempre più ravvicinato, tra un debito pubblico che deve scendere di molto e una crescita che deve correre ben oltre la percentuale omeopatica dello 0,1% assegnata al 2019. Il punto, come tutti comprendono, è come alimentare una crescita robusta senza far ricorso al deficit e, quindi, senza aumentare il debito. A prima vista, un rebus senza soluzione.
E invece la soluzione c’è e si chiama investimenti. Quelli pubblici da troppo tempo tenuti fermi per i più svariati motivi e quelli privati che basta poco incentivare considerata l’alta propensione all’intrapresa degli imprenditori nostrani che, nonostante il clima generalmente ostile – la cultura antindustriale degli italiani è tristemente nota -, riescono a collocare il Paese al secondo posto in Europa in quanto a manifattura e in cima al mondo in ben otto settori.
Ci vuole uno sforzo collettivo perché questa volta non ci saranno vincitori e vinti, ma saremo tutti vinti o vincitori a seconda dell’esito delle votazioni. L’Europa è la cosa migliore che abbiamo fatto, hanno scritto in un manifesto ventuno Capi di Stato dell’Unione compreso il nostro Mattarella. Ha garantito 70 anni di pace e prosperità. Adesso si mostra sotto forma e in crisi d’identità. La scelta da fare è ridarle senso e vigore. Togliendo le incrostazioni e restituendole smalto.