La vera notizia è che per qualcuno non è una notizia. Mercoledì 6 luglio. Ore 13 circa: il Parlamento europeo vota una mozione contro l’inclusione del gas e del nucleare tra le attività economiche eco-sostenibili. Ossia contro la proposta della Commissione europea di Ursula Von Der Leyen, redatta nell’atto delegato (il “Complementary Climate Delegated Act to accelerate decarbonisation”) presentato a febbraio e nel quale alcune specifiche attività energetiche dei settori del gas e del nucleare, sono riconosciute importanti per il loro contributo alla transizione ecologica e quindi alla mitigazione dei cambiamenti climatici.



Pertanto, vengono considerate degne di essere incluse nella cosiddetta “tassonomia verde”, una sorta di guida “politically correct” agli investimenti privati nel settore energetico. L’inclusione di alcune di queste attività è comunque limitata nel tempo e dipende da specifiche condizioni e requisiti di trasparenza.



La mozione di rigetto della proposta della Commissione viene respinta: 328 contrari, 278 favorevoli (ne sarebbero serviti 353), 33 astenuti.

Risultato non scontato, perché la politica (e non solo) era già in fibrillazione, dopo la votazione del 14 giugno scorso, allorché due commissioni del Parlamento europeo, Envi (Ambiente) ed Econ (Economia), avevano votato contro l’inclusione di gas e nucleare nella tassonomia, 76 voti contro 62 (4 astenuti).

Da allora si erano moltiplicati appelli e mobilitazioni a votare in favore della mozione di censura: ambientalisti, ecologisti, politici, financo banchieri, sino ai Fridays for Future e Greta.



Nel momento storico nel quale abbiamo capito ormai (quasi) tutti che il tema dell’energia è diventato un preoccupante trilemma – causa principale del riscaldamento globale, punto di debolezza per la dipendenza geopolitica e strategica, elemento di impatto pesante e diffuso sull’economia, dall’industria alla spesa quotidiana – il fatto di poter contare ancora per un po’ su due fonti energetiche programmabili, una pressoché interamente europea e senza emissione di CO2 (il nucleare) e l’altra con emissioni inferiori a quelle del carbone (il gas), sembra una notizia non da poco, comunque la si pensi in proposito.

Ed è sinceramente difficile, se si ha veramente a cuore il primo dei tre problemi, non considerare i dati (da Ipcc 2014) in figura.

Ore 21. Al principale telegiornale italiano, nessun cenno della votazione e del risultato. Nemmeno sul sito web del primo quotidiano italiano (controllato sin dal primo pomeriggio – in compenso però sappiamo tutto dei ritardi di Belen e Canalis a Sanremo). Sul sito del secondo quotidiano, invece, giusto tre righe ma nessun commento.

Tocca andare a spulciare l’Ansa, per capire cosa è successo. E sapere, pure, che in questo frangente la “maggioranza Ursula” si è spaccata, sia a livello europeo sia italiano. Pd, M5s e Verdi a favore della mozione di cancellazione, FI, Lega, FdI e Italia Viva invece contrari ad affossare la proposta della Commissione.

Ma ciò che sorprende non è tanto l’adesione a corrente alternata alle politiche della Ue, indicate quale stella polare della navigazione italica nel procelloso mare nostrum, a patto che conducano nel nostro porto. Quanto l’evidente schizofrenia di cui sembrano soffrire addirittura persone delle istituzioni, quasi fosse un effetto da long Covid.

Come classificare altrimenti, l’esternazione di Nancy Saich, Chief Climate Change Expert della Banca europea degli investimenti (Bei), che il 30 maggio nel corso di un’audizione pubblica al Parlamento europeo dichiara che gli investitori che guardano agli investimenti “green” non sono desiderosi di mettere il loro danaro nel nucleare e nel gas. Ma subito dopo aggiunge: “Desideriamo utilizzare le nostre risorse per concentrarci sulle soluzioni a basse emissioni di carbonio, perché la crisi climatica è urgente ora come lo era prima” (verrebbe da rispondere: guardi il grafico, Milady).

O come leggere la posizione del ministro dell’Economia e dell’Ambiente tedesco, nonché capo dei Verdi, Robert Habeck, che il 19 giugno scorso dichiara, un po’ affranto in realtà, che la Germania riaccenderà diverse centrali a carbone (anzi, a lignite, il carbone più inquinante) per far fronte alla crisi energetica. Mentre si dimentica spente la bellezza di 15 centrali nucleari, che non emettono gas serra (già prima la Germania era di gran lunga la prima emettitrice di CO2 in Europa, ora sarà pure peggio).

Il tutto, nell’assordante silenzio di Verdi, Greenpeace, Legambiente, Wwf. E Greta.

Ma se la patologia tocca pure la martoriata Ucraina, allora significa che la situazione è grave.

Infatti, su EurActiv è possibile leggere che il 30 giugno l’ambasciatore ucraino in Germania Andrij Melnyk ha scritto una lettera aperta ai legislatori tedeschi, invitandoli a respingere la proposta della Commissione. “Se includiamo l’energia nucleare e il gas nella tassonomia verde, ci mettiamo direttamente nelle mani di Putin”, si legge nella lettera. Che prosegue: “Le sue aziende energetiche si stanno già sfregando le mani perché i miliardi confluirebbero nelle aziende energetiche di Putin. Questo mette in pericolo la sicurezza energetica dell’Europa ed è uno schiaffo all’Ucraina”.

Smentito solo 5 giorni dopo, però, direttamente dal governo ucraino, attraverso una lettera del ministro dell’Energia, German Galushenko, diretta alla presidente della commissione economica del Parlamento europeo, l’eurodeputata del Pd Irene Tinagli. “Se dovesse passare l’obiezione all’atto delegato”, spiega la lettera, “metterebbe in difficoltà la ricostruzione post bellica del settore energetico ucraino”.

Concludendo poi: “In uno scenario che prevede la transizione dell’Ucraina ad un 50% di energia rinnovabile entro il 2030, l’energia nucleare rimarrà un contributo significativo alla sicurezza energetica e alla transizione verso la carbon neutrality” (nda: il Paese possiede 15 reattori nucleari). “L’Ucraina detiene inoltre la seconda più grande riserva di gas in Europa di circa 1,1 trilioni di metri cubi. Il sistema energetico ucraino continua a fare affidamento sul gas per la generazione combinata di calore ed elettricità e per il teleriscaldamento centralizzato. Questo gas potrebbe essere anche fornito all’Ue aumentando la produzione interna. L’Ucraina potrebbe così contribuire a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas nell’Ue nonché fornire le sue strutture di stoccaggio sotterranee”.

Serve aggiungere altro?

P.S. E comunque, mentre noi ci trastulliamo con la tassonomia e corriamo allegramente incontro ai razionamenti di gas ed elettricità nel prossimo inverno, i simpatici croati nostri dirimpettai in Adriatico, da lì sotto stanno (allegramente sì, loro) estraendo gas, quasi di fronte alla riviera romagnola. Mentre noi no! Meglio prenderlo liquefatto, spendendo 5 volte tanto, da quella grande nazione democratica che è il Qatar. Viva l’Italia.

P.P.S. E comunque i mondiali li vedremo anche stavolta in televisione.

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