Dopo la decisione della Commissione europea, la “palla”, oltre che nel campo del Consiglio europeo, che dovrà esprimersi sulla procedura d’infrazione per eccesso di debito nei confronti dell’Italia, è anche passata al Governo, che potrà cercare di fornire le proprie ragioni e dare rassicurazioni ai partner Ue per provare a evitare le conseguenze di una decisione non certo favorevole al nostro Paese. «Credo che Bruxelles – ci dice Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – non riesca a cogliere davvero, e forse non potrebbe mai farlo, i problemi la cui soluzione ci consentirebbe di tornare a crescere, che è poi il nodo di tutta la faccenda. A questo punto se entriamo in una procedura d’infrazione, come minimo torniamo in recessione. Quindi avremmo lo stesso risultato ottenuto dal Governo Monti, che non ha risanato nulla, perché il debito ha proseguito la sua crescita. È importante ricordare il passato».



A quale proposito in particolare?

Ci era stato detto che la riforma centrale, a parte quella delle pensioni, da portare avanti era quella del mercato del lavoro, che ora credo sia effettivamente molto mobile. Questo però non ha dato i risultati così incoraggianti che ci si aspettava. Le riforme di cui parla Bruxelles assomigliano molto spesso a quelle che una volta il Fondo monetario internazionale imponeva ai paesi in difficoltà, costringendoli a dinamiche cervellotiche, perché i meccanismi della crescita e dello sviluppo sono molto più articolati e complessi di quanto possano essere sintetizzati in alcune riforme. Detto questo, è chiaro che se un errore l’Italia l’ha  fatto è stato quello di non riuscire a proporre a sua volta delle misure di riforma che fossero genuinamente a favore di una crescita sostenibile.



Ora non sarà facile mettere a punto la Legge di bilancio, tanto più se la procedura d’infrazione verrà effettivamente attivata.

Siamo in uno stato di debolezza contrattuale e ci troviamo fondamentalmente ostaggio delle clausole di salvaguardia. Mi chiedo che senso abbia che a un Paese in difficoltà oggettiva come il nostro venga chiesta una manovra di un punto e mezzo di Pil quando cresciamo dello 0,2%. Diciamo che non è ragionevole. Abbiamo una situazione in cui il reddito di cittadinanza, che doveva essere orientato al lavoro, ha preso un’altra strada e non ha avuto il riscontro che ci si attendeva. C’è quindi un “tesoretto” derivante dal fatto che le misure che ha portato avanti questo Governo sono state usate al di sotto delle aspettative. Questo significa che anche questa manovra non ha spinto adeguatamente la crescita e infatti ora si parla di flat tax. Ma non so come sia possibile inserirla in una manovra dove già si vogliono disinnescare le clausole di salvaguardia. Insomma, rischiamo di chiudere un dialogo con l’Ue prima ancora di aprirlo.



La soluzione per rassicurare l’Ue non potrebbe essere anzitutto quella di destinare i risparmi di Quota 100 e Reddito di cittadinanza alla riduzione del deficit?

Ci sono tante soluzioni possibili, ma possono funzionare solo se gli interlocutori, Italia e Commissione, hanno davvero un interesse a mandare avanti un progetto europeo. Il nostro Paese è in crisi da 10 anni, se ne potrà parlare in modo civile con Bruxelles? Se invece vogliono l’impossibile, finiamo con il peggiorare la nostra situazione. Mentre si dovrebbe avere come obiettivo il tasso di disoccupazione, si parla invece di zero virgola nel rapporto debito/Pil in una situazione di forte rallentamento dell’economia mondiale.

E proprio ieri l’Istat ha fatto sapere che nel 2018 più di 1,1 milioni di famiglie con due o più componenti sono senza reddito o pensione…

Il rischio è che questa situazione possa solo peggiorare. Spero che si possa portare la questione nei termini più fondativi dell’Europa, altrimenti si aprirà un orizzonte di incognite che crea timori in molti. Io credo che una soluzione si possa trovare. Quello che vedrei con grande speranza è una mano tesa da ambo le parti. E da parte nostra sarebbe importante sanare il forte deficit che abbiamo sugli investimenti pubblici infrastrutturali. In questo campo le riforme sono straordinariamente necessarie. Sarebbe importante vedere cantieri aperti da tutte le parti.

Ieri, il giorno dopo la decisione di Bruxelles e un alert del Fmi sul debito pubblico italiano, l’agenzia di rating Moody’s ha rincarato la dose, parlando di un obiettivo di deficit/Pil del Governo italiano non credibile e prevedendo un ulteriore rialzo del debito. Non le sembra che siamo in una situazione simile a quella del 2011?

Vorrei ricordare che allora, subito dopo, abbiamo vissuto due anni di recessione grazie al Governo Monti. Chi ha tirato fuori il Paese dalla crisi è stato Draghi con il suo whatever it takes. Ha salvato l’Europa con quelle parole. Questo la dice lunga sul fatto che questa Europa a metà rischia di fare dei danni, anche involontariamente. Ai complotti non credo quasi mai, ma questo non è tanto un complotto, perché se noi tiriamo fino a ottobre Draghi diventa disponibile.

Disponibile per poter essere chiamato a guidare un Governo.

Draghi come nume salvatore sarebbe una notizia positiva da un lato, per i legami che ha a livello internazionale in tanti mondi, ma dall’altro ci farebbe trovare ancora in una situazione borderline, come quella che aveva organizzato Napolitano. Di nuovo avremmo una situazione di anomalia democratica grande come una casa.

Senza dimenticare che Draghi nel 2012 ci ha dato una grossa mano, ma come Presidente della Bce. Difficile dire se avremo ancora l’aiuto dell’Eurotower…

Assolutamente. Bisognerà capire chi ci sarà alla guida della Bce, perché farà una bella differenza. Non so in ogni caso cosa farebbe Draghi, sia pure con le sue competenze e il suo prestigio, quali ricette userebbe. Alla fin fine le manovre sul mercato del lavoro di cui abbiamo parlato prima sono nate con lui. Per concludere, direi che siamo più vicini di quanto non si pensi a una situazione analoga a quella del 2011, con la differenza che in quell’occasione era la prima volta che accadeva una cosa del genere. Forse adesso Draghi sarebbe il primo a rifiutare di guidare il Governo.

(Lorenzo Torrisi)

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