“Qualche giorno!”: farebbe ridere, se non facesse piangere, il surreale ultimatum che i partner europei dell’Italia hanno lanciato al governo Conte. Qualche giorno per presentare misure che rimettano in carreggiata i conti pubblici, in particolare frenino la crescita del debito e, quindi, implicitamente rilancino l’avanzo primario riducendo il deficit. Ma come si fa? Già: come faranno il presidente Conte e il ministro dell’Economia Tria a trovare in pochi giorni le misure richieste?
Semplice: non le troveranno. Cioè: stanno misurando gli effetti contabili della fatturazione elettronica, che sembrerebbe poter riservare qualche bella sorpresa perché avrebbe ridotto di circa 700 milioni le elisioni Iva nel solo mese di gennaio. Se questo trend proseguisse, significherebbe migliorare quest’anno il saldo sui conti pubblici di circa 8,5 miliardi: giusto quel minimo che la Commissione chiede.
Ecco: è l’unica possibilità, unita forse alla contabilizzazione di eventuali ulteriori proventi fiscali dalle varie rottamazioni in corso, di raddrizzare pro-tempore la baracca dei conti pubblici, sempre nella speranza che nel frattempo la congiuntura economica non continui ad andare male come nell’ultimo mese generando minori entrate tributarie del previsto.
Ma quel che resta incurabile sono due malattie. Una è quella italica, che sembra oggi (ma chissà domani) destinata a protrarre nel tempo questo matrimonio mostruoso tra due forze politiche sostanzialmente non solo reciprocamente distanti ma addirittura ostili. L’altra però è quella europea, più precisamente è la malattia di una serie di istituzioni comunitarie che hanno ormai ampiamente e clamorosamente varcato la soglia dell’inefficienza, che sono a loro volta ridicole, vivono e resteranno fino a fine anno in una specie di semestre bianco e ritrovano voce – solitamente irosa – solo per sbraitare contro una scemenza tecnica, i mini-Bot, che nasce però da una ben più grave infamia istituzionale e regolatoria controfirmata appunto da tutti “Lorsignori”: quella di non voler conteggiare come debito pubblico i debiti che le Pubbliche amministrazioni degli Stati membri hanno verso i rispettivi fornitori. E che saranno mai, quei debiti, se non debito pubblico?
Nel frattempo, il Governo ha fatto una mezza promessa, a quelli di Bruxelles: nuovi dati per dimostrare che la nostra situazione economica è sostenibile. Precisamente, alla domanda se fornirà nuovi dati prima del 9 luglio, il ministro Tria ha risposto: «Certo, mica porto chiacchiere». Secondo gli analisti, però, Bruxelles chiede nuovi fatti. Ma in realtà quel che chiede Bruxelles non sta più a cuore a nessuno. Ciò che conta si trova a una distanza siderale dai palazzoni comunitari. Conta l’atteggiamento dei mercati verso i Btp italiani, determinante per fissare il famigerato “spread” con il Bund tedesco.
Si pensa da più parti che in agosto al più tardi Fitch, la terza e più piccola ma non meno autorevole società di rating internazionale, possa declassare di un gradino il nostro debito. Ecco, questo sarebbe per i mercati – ben più della procedura d’infrazione – il segnale di via libera per la tempesta perfetta contro i titoli di Stato italiani. È dunque sui mercati che Tria e Conte si giocano dunque le loro carte. Non a Bruxelles. Non c’è osmosi seria tra Bruxelles e i mercati. Tutt’al più questi ultimi possono prendere a Bruxelles i pretesti che a volte occorrono per scatenare qualche bombardamento più o meno durevole.
Però, ecco: mai dire mai. Vuoi vedere che qualcuno di questi fantomatici dati che Tria e Conte sperano di poter tirar fuori come un prestigiatore estrae il coniglio dal cilindro, ci sono veramente?