Si conferma anche quest’anno la grande sintonia tra Confindustria e Banca d’Italia riscontrata nelle molte similitudini contenute nella relazione annuale del presidente Vincenzo Boccia e nelle Considerazioni finali del governatore Ignazio Visco, soprattutto nei punti chiave della manovra economica e dei rapporti con l’Europa.



In entrambi i casi c’è un forte richiamo al lavoro come obiettivo primario da raggiungere e a misure orientate al sostegno delle imprese come mezzo per riuscirci. Il tutto attraverso una nuova stagione di riforme rivolta a eliminare i troppi ostacoli alle attività produttive e a rendere il Paese più competitivo nel suo complesso. Si tratta di dare corpo a quella Boccia definisce Politica dei Fini: stabilire quali conseguenze si vogliono avere nell’economia reale, approntare gli strumenti giusti, fissare le risorse relative, verificare che il risultato sia raggiunto e, nel caso dovesse servire, operare le modifiche necessarie ad aggiustare la mira.



Un percorso logico utile da seguire tanto in Italia quanto in Europa per evitare di aprire contenziosi alla cieca sui saldi di bilancio – zerovirgola in più, zerovirgola in meno – senza nemmeno sapere quale partita si stia giocando. Dichiarare le intenzioni, inoltre, è il modo più trasparente per consentire il giudizio sulle azioni che s’intraprendono. Dunque, una politica per il lavoro e le imprese in Italia (due facce della stessa medaglia) e un’intesa per il rafforzamento del vincolo comunitario in Europa: unico modo che i nostri Paesi hanno per accettare le sfide che i mercati globali, la tecnologia, la concorrenza di giganti come Cina e Stati Uniti, continuamente lanciano.



Anche il richiamo alla responsabilità comune – nessuno può tirarsi indietro se vogliamo restituire vigore alla nazione – è ampiamente condiviso. Ed è ricorrente il riconoscimento alla lungimiranza di chi ha costruito l’edificio europeo garantendo a tutti i popoli una pace e una prosperità mai sperimentate prima.

Naturalmente la consapevolezza di stare nel solco giusto non deve distrarre dalla necessità di correggere le tante cose che non funzionano. E, soprattutto, non vanno sottovalutate le sofferenze di un ceto medio che si è ritrovato progressivamente più povero e improvvisamente spaventato da un’immigrazione in forte aumento.

Ma non sempre il percorso più breve per recuperare il terreno perduto si rivela anche il più corretto. E la tentazione di portare deficit e debito oltre il limite consentito dagli accordi con i partner europei, venendo meno agli impegni assunti, potrebbe rivelarsi fatale per la nostra reputazione e la fiducia dei mercati.

Il che si ripercuoterebbe inevitabilmente sul fatidico spread che in attesa dei fatti, e inseguendo il solo corso delle parole, si avvicina al livello di guardia della Grecia minacciando il rialzo di tutti i tassi a danno delle imprese, delle famiglie e dello stesso Stato per il rinnovo dei titoli del debito pubblico.

Appare sempre più chiaro che intervenire per pezzi – una Quota 100 e un Reddito di cittadinanza qui, una flat tax e uno Sbloccacantieri lì – non risolve i problemi che abbiamo davanti. Quello che serve è un intervento organico e coraggioso che ricostituisca con coerenza l’intero impianto di funzionamento del Paese.

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