La delegazione italiana è tornata dal Consiglio europeo con un pugno di mosche e una maggiore probabilità di elezioni in autunno rispetto a quella segnata dal barometro politico prima che i “nostri eroi” partissero per Bruxelles. C’è un nesso tra questi due aspetti. Ove al Consiglio europeo si fosse respirata un’aria favorevole alle indicazioni nella lettera di ben sei pagine alla Commissione europea, nessuno avrebbe avuto interesse ad andare alle urne prima che il lungo percorso verso una procedura d’infrazione per debito eccessivo fosse giunta al termine, o quando si intravedesse la possibilità di un accordo con le istituzioni europee. Dato, invece, che si profila uno scontro tra Roma e Bruxelles, c’è chi ha interesse a fare saltare il banco e, sulla scia di recenti successi, iniziare da subito una campagna elettorale basata sullo slogan: “L’Italia deve riformare l’Europa per renderla più vicina ai cittadini”.
Ha acutamente scritto Francesco Daveri su lavoce.info: “La prima (parte della lettera dell’Italia, ndr) è una critica agli attuali difetti dell’architettura istituzionale europea. È il grosso della replica, l’83 per cento del suo contenuto: le pagine 1 e 2 e poi da pagina 4 a pagina 6. Molte delle critiche all’Europa sono note e alcune di queste, in linea di principio, condivisibili. A pagina 1 e 2 si ricorda la necessità di ‘aprire una fase costituente per ridisegnare le regole di governo delle nostre società e delle nostre economie, riconsiderando modelli di sviluppo che si sono rivelati inadeguati di fronte alle nostre società impoverite, attraversate da sfiducia, delusione e rancore’. Per l’Europa questo implicherebbe ‘una riflessione approfondita su come assicurare un effettivo equilibrio tra stabilità e crescita, tra riduzione e condivisione dei rischi'”.
Invece di replicare puntualmente al documento di 23 pagine inviato da Bruxelles in cui si criticano molti aspetti della nostra politica di finanza pubblica, il Governo italiano indica, approssimativamente e senza proposte specifiche, l’esigenza di ridisegno dell’Unione europea. È chiaro che si è di fronte a un dialogo tra sordi o a monologhi alterni che non possono avere uno sbocco positivo. Sembra quasi che il nostro Governo, pur dicendo di volere evitare una procedura d’infrazione, faccia di tutto perché venga applicata al più presto. E, almeno per una delle due forze che hanno firmato il contratto di Governo, ci siano ragioni per andare alle urne al fine di chiedere agli elettori il sostegno per un progetto (peraltro non dettagliato) di modifica delle regole quanto meno dell’Unione monetaria europea.
I tempi sono stretti: all’inizio di agosto va in aula, in seconda lettura, il disegno di legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari. Se approvato sarà virtualmente impossibile trovare una maggioranza che permetta uno scioglimento delle Camere perché la metà circa dei deputati e dei senatori avrebbe grandi difficoltà a rientrare nei Palazzi. Quindi, la partita si gioca in questi giorni.
Tuttavia, sarebbe un errore imputare unicamente all’Italia e ai suoi molteplici errori di strategia e di tattica un Consiglio europeo che non è stato in grado di raggiungere quello che sarebbe dovuto essere il suo obiettivo primario: un accordo sulle nomine dei principali esponenti dell’Unione europea in seguito a scadenze di mandati e agli esiti delle elezioni per il Parlamento europeo. Il politologo ed editorialista francese Gilles Finchelstein dice acutamente che si è passati da un’Europa “solida” basata sull’alleanza franco-tedesca a un’Europa “liquida” dopo l’allargamento dell’Unione (in cui le alleanze erano meno prevedibili e alcuni Stati facevano, furbamente, il gioco delle parti) a un’Europa “gassosa” in cui le alleanze politiche sono così brevi e cosi fragili da sembrare tenue nuvolette da fumo.
Nell’Europa “solida”, l’Italia si schierava di volta in volta per uno dei due partner principali, facendo ogni tanto sponda con la Gran Bretagna. In quella “liquida”, nuotava a proprio agio tra le varie alleanze. Ma in quella “gassosa” è più persa degli altri, anche a ragione della poca esperienza in questioni europee di numerosi esponenti politici: sembra, infatti, che non ci sia accorti del cordone sanitario costruito per evitare che una probabile instabilità finanziaria contagi alcuni dei nostri vicini. È proprio tale cordone sanitario che dovrebbe mostrare la drammaticità della situazione e indurre a mettere in atto politiche di risanamento della finanza pubblica quali quelle che sono state più volte delineate su questa testata, in parallelo con politiche di crescita per rivitalizzare la nostra anemica economia.
Non è chiaro se una corsa alle elezioni possa favorire un chiarimento o finisca per rendere il quadro ancora più ingarbugliato.