C’è uno spettro che si aggira per l’Europa e questo spettro è l’ipotetica sanzione nei confronti dell’Italia. Parlo proprio della sanzione, non della procedura di infrazione per debito eccessivo. Il dito nella piaga lo ha messo il senatore Bagnai: non ci sono precedenti e quindi la sanzione “potremmo valutare se pagarla”. Eh già, l’architettura di questa Unione europea è così ben fatta che dopo le infrazioni vi sono le sanzioni, ma dopo le sanzioni, nel caso qualcuno non paghi, c’è ben poco: l’esclusione dai processi decisionali europei, l’esclusione dal diritto di voto, che è ben poca cosa visto che non contiamo nulla e che decidono come gli pare sopra la nostra testa.
Oltretutto la cosa non andrà così liscia: ora ci raccontano che tutti ce l’hanno con l’Italia, ma in realtà vi sono altri paesi in gravi difficoltà. Non c’è solo la Germania, con il settore bancario in perenne crisi, dalla Deutsche Bank (con la fallita fusione con CommerzBank, salvata anni fa dallo Stato e nella quale lo Stato ha ancora una partecipazione del 15%) alle banche regionali salvate con soldi dello Stato (per la precisione, con l’intervento di altre banche in cui lo Stato ha forti partecipazioni). Tutti pasticci che stanno facendo crescere gli euroscettici in Germania e che sta facendo continuare a perdere il partito della Merkel.
In difficoltà c’è anche la Spagna, che ovviamente continua a essere in grave crisi, causa la disoccupazione a livelli troppo pesanti. E pure questo si riflette in politica. Il ministro delle Finanze spagnolo ha appena dichiarato che l’Ue deve possedere “uno strumento europeo stabilizzatore e anticiclico” cioè che operi in senso contrario alla crisi, cioè uno strumento capace di investimenti in tempi nei quali, a causa della crisi, lo Stato sia obbligato a operare dei tagli. E ha pure chiarito l’alternativa: “Se non c’è alcuna componente di stabilizzazione nel bilancio della zona euro, dovremo abbandonarla del tutto”.
Ma dire “componente di stabilizzazione” è solo un modo raffinato e alternativo per dire “condivisione degli investimenti” fatti con denaro comune, cioè “condivisione dei debiti” che è precisamente ciò che per i paesi del Nord Europa è una bestemmia: loro sono entrati nell’euro e hanno accettato i paesi del Sud Europa proprio con l’obiettivo di impedire gli investimenti (di Stato), per fare in modo che gli investimenti dipendessero solo dalle leggi del mercato, cioè dai loro interessi.
Si potrebbe obiettare: ma perché non lo facciamo anche noi, perché anche noi, utilizzando le stesse regole, non investiamo da loro. Il fatto è che loro se ne sbattono delle “regole” e a casa loro ci impediscono di investire o anche soltanto di “unirci” a qualche loro impresa, secondo le regole del “libero” mercato. L’esempio più recente è quello della tentata fusione tra Fca e Renault: ipotesi abortita sul nascere per intervento dello Stato francese, il quale detiene una forte quota in Renault. E questa è solo l’ultima puntata di una lunga serie, che racconta di mancate acquisizioni o fusioni nei paesi europei e di acquisizioni di imprese italiane da parte di altri. L’ultima puntata di una storia non finita, quindi in attesa di una qualche nuova puntata, proprio come quelle “telenovelas” che non finiscono mai.
La faccenda dei mini-Bot sta diventando la cartina tornasole di un’Europa dove le regole non sono uguali per tutti e dove la menzogna si rivela manifesta. Infatti, diversi commentatori hanno sproloquiato su questi a proposito del fatto che possano essere considerati (o no) una moneta alternativa oppure se siano (o no) altro debito. Finché è arrivata la sentenza di Draghi: “O sono una nuova moneta illegale oppure sono nuovo debito”. Un vero capolavoro questa frase: tre menzogne al prezzo di una (frase). Il primo appunto è che i mini-Bot non sarebbero a circolazione europea, ma solo a circolazione interna: quindi è materia che non riguarda Draghi, non è di sua competenza, non dovrebbe metterci il becco. Il sottinteso è chiaro: siete liberi di gestire le questioni interne, ma cosa sono le questioni interne lo decidiamo noi.
La seconda menzogna è nella presunta dicotomia moneta-debito: una dicotomia che non risponde alla realtà, poiché tutta la moneta in circolazione, tutti gli euro in circolazione sono in realtà debito, sono creati dalle banche centrali (autorizzate dalla Bce) che non regalano quegli euro e nei loro bilanci li pongono tra i passivi. La terza menzogna è sul fatto che sarebbe “nuovo debito”: se vengono emessi, come annunciato, per pagare i fornitori (sicuramente in parte, non per l’importo intero), allora non sarebbe nuovo debito, ma la materializzazione finanziaria di un debito esistente. Al contrario, si dovrebbe accettare l’ipotesi assurda che le fatture dello Stato che non sono state pagate non siano debito. Lo sono invece, e i mini-Bot sono semplicemente uno strumento intelligente per gestire questo debito già esistente. La verità pura e semplice è che i mini-Bot sono vera moneta (che risolve un debito e che lo stesso Stato accetterà come mezzo di pagamento per le sue tasse) e vero debito che materializza e rende scambiabile un debito esistente (quindi non “nuovo debito”).
Dato che si parla di fatture esistenti e non ancora saldate, non si sta parlando di una grossa cifra (40-60 miliardi?). Il cuore del problema non è quindi economico-finanziario. Il cuore del problema è che i mini-Bot hanno un duplice significato, uno morale e l’altro simbolico. Il significato morale è quello di evitare di mettere in difficoltà migliaia di piccole imprese che potrebbero arrivare al fallimento per i ritardi di pagamento da parte dello Stato. Si tratta di evitare di indebolire chi è già piccolo e fragile.Il significato simbolico è invece connesso con la capacità di uno Stato di intervenire per proteggere chi potrebbe trovarsi in difficoltà. Di fatto questo coincide con la sovranità effettiva di uno Stato, non quella fatta di chiacchiere o di proclami. E questo l’ideologia pro Europa non lo può tollerare. Questo è il motivo cruciale per cui nasce la volontà punitiva, attuata con la “proclamazione” della procedura di infrazione per debito eccessivo, in virtù di qualche virgola e qualche decimale al di fuori dei limiti europei, che non hanno alcun significato macroeconomico e alcun valore di vincolo.
Qualche giorno fa il deputato della Lega Borghi in un discorso alla Camera ha chiesto al ministro Tria di verificare che i suoi interlocutori all’Ue non siano in malafede. Ma c’è davvero bisogno di chiederlo? Una procedura d’infrazione per “debito eccessivo” ora? Perché, è una novità il nostro debito? Non se ne erano mai accorti prima?
Nel 1992, ai tempi del trattato di Maastricht, il nostro debito era già al 105% del Pil, ben al di sopra del parametro del 60%. E quando nacque la Bce, nel 1998, era al 110% del Pil. E nessuno fiatò. E nessuno aveva mai sentito parlare di “spread” e non ne sentì parlare fino a crisi orma deflagrata, nel 2011. Ora, dopo che la cura Monti (e Letta e Renzi e Gentiloni) ha portato il debito al 133% nel 2015 e da allora non sale più, quale sarebbe oggi il problema?
L’unico vero problema che intravvedo io è che le crepe delle istituzioni europee sono ormai visibili a tutti e che a non vederle può essere soltanto qualcuno in malafede.