La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen sta seriamente valutando la possibilità di superare l’unanimità nelle decisioni dell’Unione europea per arrivare ad accordi più rapidi su temi importanti. I veti dell’Ungheria di Viktor Orban di fatto hanno rallentato l’Ue nelle sanzioni contro la Russia; quindi, l’idea è di superare l’unanimità in favore di una maggioranza qualificata di voti, come peraltro succede per alcune questioni trattate dal Consiglio europeo. Ciò però richiederebbe una sostanziale riforma dei trattati europei da approvare però proprio all’unanimità. Il nodo è questo, l’intenzione è dunque quella di uscire dalla “trappola” dell’unanimità. Lo sanno bene anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Mario Draghi, favorevoli al superamento del sistema dell’unanimità nelle votazioni Ue.



A Bruxelles la tensione è molto alta, infatti il premier ungherese viene considerato un «ricattatore», secondo quanto riportato dal Messaggero. Inoltre, ne parlano come un «piccolo Putin». D’altra parte, la Commissione Ue ha un’arma per metterlo in difficoltà: trattenere i fondi del Next Generation EU destinati all’Ungheria, denaro di cui ha urgente bisogno.



IL “COMPROMESSO” DI MASSOLO

Per l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi, già segretario generale della Farnesina e capo del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), c’è un modo per aggirare l’ostacolo Orban. «Il problema del meccanismo dell’unanimità esiste, è innegabile. Questi meccanismi dovrebbero essere più flessibili perché potrebbero consentire delle decisioni più rapide ed efficaci. Questo è un dato di fatto», il suo punto di partenza. Nell’intervista al Messaggero spiega che il passaggio ad una maggioranza qualificata non è semplice, per il motivo sopra precisato. «Per traghettare l’Unione verso un assetto più coraggioso c’è bisogno che tutti gli Stati più importanti, che hanno responsabilità, svolgano una funzione trainante. Questo è l’unico modo perché, progressivamente e sempre nel rispetto delle tradizioni e delle sensibilità di tutti i Paesi membri, si raggiunga un assetto su livelli di equilibri più avanzati». Massolo di fatto propone una cooperazione rafforzata tra Stati. «Gruppi di Paesi possono decidere di mettere in campo delle misure efficaci autonomamente». Impensabile invece l’espulsione dell’Ungheria, in quanto impossibile. «Si può solo uscire per decisione autonoma, come traumaticamente ha mostrato la Brexit». L’alternativa è un meccanismo di condizionalità: «Subordinare l’erogazione di fondi comunitari all’adozione di determinate misure o alla sospensione di determinati comportamenti non in linea con quanto previsto dai trattati». Quindi, si tratta di rispondere all’Ungheria con le sue stesse armi, i ricatti.



L’ALTRA IPOTESI: TOGLIERE POTERE DI VOTO A UNGHERIA

A conferma della tensione nell’Ue, anche la Polonia va all’attacco dell’Ungheria. Radoslaw Sikorski, ex ministro degli Esteri e della Difesa polacco, deputato europeo con il Ppe, al Corriere della Sera nelle scorse ore ha tuonato: «I nazionalisti — avete questi politici anche in Italia — pensano che l’unanimità sia meravigliosa perché puoi obbligare tutta la Ue a prestarti attenzione quando metti il veto. Ma certamente, il tuo Paese non è l’unico che può imporre il veto». Questo rischia di bloccare l’Unione europea, quindi bisogna trovare una soluzione. «Il principio dell’unanimità va ripensato». L’Ue non può espellere l’Ungheria, ma può toglierle il potere di voto: «E mi risulta che l’Ungheria sia già sottoposta alla procedura dell’articolo 7. Se l’Ungheria è felice di far parte dell’Unione europea senza un voto in Consiglio, forse questo è il modo di procedere». Un’ipotesi tutt’altro che remota visto che la vicepresidente del Parlamento europeo Katarina Barley in un post su Facebook ha duramente attaccato l’Ungheria, ipotizzando che la si possa privare del diritto di voto. Ha citato, infatti, l’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea che prevede una procedura per sospendere alcuni diritti di uno Stato membro.