In un precedente articolo denunciavo la mancanza di politica comune, o quantomeno coordinata, da parte dell’Unione Europea su una serie di questioni cruciali: la difesa, la politica estera, la politica fiscale. Sottolineavo anche che questa mancanza rendeva l’Ue una costruzione artificiale e artificiosa, nella quale ogni Stato persegue i propri interessi, anche quelli che accusano gli altri di nazionalismo o “sovranismo”. Una Unione in cui domina la legge del più forte.



In questi giorni sono arrivati due pericolosi segnali a conferma di questa situazione. Il primo è la dura presa di posizione verso la Polonia, dopo che la sua Corte costituzionale ha dichiarato che l’accettazione delle decisioni di Bruxelles è subordinata alla loro coerenza con quanto prescritto dalla Costituzione polacca. I vertici di Bruxelles hanno risposto in modo molto duro che l’adesione ai Trattati europei prevede la cessione della sovranità e la sottomissione degli ordinamenti giuridici nazionali ai deliberata dell’Unione. Lascio ovviamente agli esperti l’analisi degli aspetti giuridici. Tuttavia, mi sembra non semplice accettare che Costituzioni liberamente votate dai vari popoli europei debbano lasciare il passo a decisioni di gente votata da nessuno e decisamente auto – o forse meglio – etero-guidata.



Ciò che colpisce è che una posizione simile a quella della “retriva” Polonia è stata assunta anche dalla Germania, la cui Corte costituzionale si è espressa i termini non molto dissimili. Infatti, Bruxelles ha aperto una procedura di infrazione contro Berlino, ma non si è parlato di rappresaglie economiche come in questo caso, ventilando anche una possibile Polexit. Qualcuno a Varsavia avrà forse pensato alla Brexit e agli storici rapporti tra Regno Unito e Polonia, il cui governo in esilio, dopo l’invasione nazista e bolscevica, fu ospitato per l’appunto a Londra.

Sarà perciò interessante vedere come si svilupperà la vicenda, per il momento contrassegnata dalle sdegnate reazioni non solo dei vertici Ue, ma di molti governi europei, compresi alcuni nostri esponenti. E, per converso, dall’approvazione di diversi partiti di destra europei e anche italiani.



Subito dopo si è aggiunta un’altra grana per i tecnocrati di Bruxelles, questa volta difficilmente etichettabile come nazionalista e sovranista. Dodici dei 27 governi dell’Ue hanno inviato una lettera in cui si chiede di rafforzare la difesa dei confini e la sorveglianza delle frontiere per far fronte alla crescente minaccia dell’immigrazione illegale. I Paesi firmatari vanno dai “nazionalisti” Austria, Polonia, Ungheria, ai baltici Estonia, Lettonia e Lituania, dalla scandinava Danimarca alle meridionali Cipro e Grecia, per finire con Bulgaria, Repubblica Ceca e Slovacchia.

Come si vede un ampio spettro che include diverse situazioni e che ha come caratteristica la non presenza degli Stati leader, Germania e Francia, e dei loro associati. Il punto focale, però, è l’esplicita richiesta di poter erigere barriere fisiche alle frontiere, cosa che già alcuni di questi Stati fanno, e che siano finanziate dal bilancio comunitario. Richiesta questa che ha subito provocato la risposta di Bruxelles: la commissaria europea agli Affari Interni, Ylva Johanson, pur riconoscendo l’esistenza del problema, si è affrettata a dire un no deciso a possibili sovvenzioni Ue.

Ieri è iniziato a Lussemburgo il Consiglio dei ministri degli Interni dell’Unione e si può pensare che le sue riunioni saranno piuttosto agitate. Vedremo anche qui cosa ne verrà fuori. 

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