L’Unione Europea è entrata nell’era del de-risking, ma deve decidere attraverso quali strumenti intende mettere in atto la sua nuova dottrina che dovrebbe, al contempo, assicurare prosperità economica e sicurezza.
Benché il tema che ha monopolizzato l’ultimo Consiglio europeo sia stato quello delle migrazioni, nel documento che racchiude le conclusioni del vertice uno spazio significativo è dedicato alla Cina. Nel discorso programmatico tenuto a fine marzo e nel suo viaggio a Pechino nel mese di aprile Ursula von der Leyen aveva gettato le basi per la nuova postura europea che è destinata a definire per i prossimi anni i rapporti con la Cina.
In questa fase di incertezza e di riconfigurazione delle catene del valore globale, l’Unione Europea intende essere meno vulnerabile attraverso una strategia di diversificazione dei propri approvvigionamenti. A riguardo il punto 34 delle conclusioni del Consiglio europeo del 30 giugno è esplicito: “L’Unione Europea continuerà a ridurre le dipendenze e le vulnerabilità critiche, anche nelle sue catene di approvvigionamento, e provvederà a ridurre i rischi e a diversificare ove necessario e opportuno. L’Unione Europea non intende procedere a un disaccoppiamento né chiudersi in se stessa”.
De-risking, quindi, e non decoupling, ma affinché il secondo non sia una versione depotenziata del primo l’Ue dovrà prima o poi chiarire cosa intende con “relazioni commerciali economiche ed equilibrate” e soprattutto come intende assicurarsi le materie prime e le risorse strategiche di cui ha bisogno in una fase di crescente competizione fra potenze.
A riguardo il “Critical Raw Materials Act” che punta a ridurre la dipendenza dalle terre rare, magnesio e litio cinesi è un primo passo di grande importanza e, per certi versi, storico, ma necessita di una politica industriale e di strategie ad ampio raggio: basti pensare che l’Unione Europea non ha ancora risposto all’Inflation Reduction Act dell’amministrazione Biden.
Ma il punto più caldo del dossier cinese è quello relativo alla possibilità di avere “relazioni equilibrate” con un sistema economico che subordina gli scambi commerciali alla logica di potenza e alla ricerca dell’egemonia e che si basa su un capitalismo autoritario e dirigista che strutturalmente produce delle distorsioni per il mercato europeo. Il fatto che la Cina sia per l’Unione Europea “contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico” rappresenta una contraddizione che prima o poi dovrà essere sciolta. Nel breve periodo l’Europa ha ancora bisogno di un partner commerciale come la Cina, che per lei rappresenta il terzo mercato di sbocco per le sue esportazioni e il Paese da cui importa di più, un rapporto così stretto che nel 2022 ha portato il volume di affari fra Ue e Cina a raggiungere 856 miliardi di euro, una cifra di poco inferiore a quello con gli Stati Uniti.
Va da sé che una brusca interruzione dei rapporti con la Cina impatterebbe in modo drammatico l’economia europea, ma la strada che porta alla diminuzione dalla dipendenza cinese è tracciata ed è ormai una certezza diffusa che la coesistenza con la Cina sarà sempre più difficile. L’invasione russa dell’Ucraina segna di fatto un prima e un dopo delle relazioni sino-europee e l’appoggio sempre più evidente di Xi Jinping a Putin – confermato dalla posizione cinese sulla vicenda della marcia su Mosca di Prigozhin – impone all’Ue di prendere delle decisioni.
Per essere più chiari, prima o poi l’Ue dovrà decidere se seguire gli Stati Uniti sul campo delle sanzioni sul commercio di merci dal significativo valore strategico. Ad esempio, la recente scoperta di Nikkei Asia che la Federazione Russa ha importato droni dual use dalla Cina può essere un caso che può spingere ulteriormente l’Unione Europea su posizioni assimilabili agli Stati Uniti nel campo della sicurezza economica e tecnologica.
In definitiva, il sostegno del governo cinese, per il quale evitare il collasso repentino del regime di Putin è una questione vitale, impone alla diplomazia europea di scogliere le sue ambiguità verso la Cina. Ad esempio, l’Unione Europea si è ben guardata dal creare una “lista nera” delle società cinesi che hanno permesso alla Russia di eludere le sanzioni europee, una situazione che rischia di essere sempre più insostenibile poiché la “sfida sistemica” che la Cina rappresenta per l’Ue ripropone in scala più grande la questione degli interessi nazionali.
Prima di pensare a una strategia globale bisognerebbe trovare un modo per rivedere le relazioni che alcuni Paesi europei hanno con la Cina. Francia e Germania continuano a promuovere relazioni bilaterali con la Cina, alimentando rapporti privilegiati che scavalcano l’Ue e ai quali non hanno alcuna intenzione di rinunciare. Un atteggiamento ambiguo che si rivela nella speranza che la Cina possa fungere da mediatore per un accordo di pace fra Russia e Ucraina. Peccato, però, che la leadership di Xi abbia puntato su Putin e che la pace sia ancora molto lontana. Una realtà che prima o poi chiederà alla von der Leyen di trovare una strategia comune libera dagli interessi nazionali.
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