Il “caso Ungheria” ha fatto notizia sulla stampa italiana solo perché i gruppi di Lega e FdI in Europa hanno votato contro la risoluzione del Parlamento europeo (presentatrice la verde animalista Gwendoline Delbos-Corfield) che ha ingiunto al Consiglio e alla Commissione di prendere provvedimenti contro la violazione, da parte dell’Ungheria, dei “valori su cui si fonda l’Unione”. Dunque, mentre importanti opinionisti si accigliano sul “problema di una Italia attratta dal sovranismo”, sui veri termini della questione non si è praticamente spesa una parola. Chi decide cosa è (o non è) conforme allo “Stato di diritto”? E come lo si fa valere? Le azioni contro Budapest hanno un segno politico? La domanda va posta, perché non va dimenticato che Orbán è contrario alle sanzioni europee alla Russia e alla fornitura di armi all’Ucraina, oltre che ai “nuovi diritti” promossi dall’Unione Europea.



Ne abbiamo parlato con Fiammetta Salmoni, ordinario di diritto pubblico nell’Università Guglielmo Marconi di Roma. “L’Ue cerca, con tutti gli strumenti giuridici a sua disposizione, di costringere gli Stati membri a fare solo ed esclusivamente ciò che decide lei”.

Che cos’è esattamente lo “stato di diritto” di cui si rimprovera all’Ungheria lo “smantellamento sistematico” (cit.)?



Il concetto di Stato di diritto è un concetto base del diritto, ben conosciuto da tutti i giuristi, non solo dai costituzionalisti, perché è risalente, ha un radicamento storico profondo e si declina in maniera diversa nell’Europa continentale rispetto, ad esempio, alla Gran Bretagna dove tutt’oggi vige la rule of law.

In sintesi?

Si comincia a parlare di Stato di diritto come evoluzione della forma di Stato liberale, come esigenza di assoggettare lo Stato al diritto, scriveva Costantino Mortati, ossia di limitare il potere dello Stato con norme giuridiche. In sostanza con l’avvento dello Stato di diritto i pubblici poteri trovano il limite al proprio agire nella legge che è espressione della volontà popolare. È evidente che lo Stato di diritto è un concetto che ha subito delle evoluzioni notevoli dopo l’adozione di Costituzioni scritte e rigide da parte dei vari ordinamenti giuridici.



Il cambiamento più importante?

Da quel momento in avanti la forma di Stato si è trasformata in Stato costituzionale (di diritto), il che vuol dire che i pubblici poteri non devono sottostare soltanto alla legge, ma anche alla Costituzione.

Non è una trasformazione banale?

Niente affatto, perché la legge si approva a maggioranza semplice, mentre una revisione della Costituzione richiede maggioranze ben più alte. Ecco perché io personalmente sono abbastanza critica con la tutela dello Stato di diritto proclamata solennemente nell’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea.

Per quale motivo?

Perché sembra che si stia tutelando chissà cosa a livello sovranazionale, invece ci si riferisce ad un concetto ottocentesco, non voglio dire “obsoleto”, ma sicuramente risalente, che non tiene conto dell’importanza delle Costituzioni. D’altronde è ovvio che l’Ue non potesse fare riferimento al rispetto dello Stato costituzionale di diritto, dal momento che in Europa una Costituzione non c’è. Comunque, al di là di tutto, meglio il riferimento allo Stato di diritto che nulla.

Come commenta le motivazioni addotte per dimostrare che in Ungheria c’è violazione dello stato di diritto?

Questa è già la seconda risoluzione adottata dal Parlamento europeo, che nel 2018 ne aveva approvata un’altra analoga sempre nei confronti dell’Ungheria. Direi, quindi, che a livello sovranazionale c’è sempre una certa ambiguità, per cui talvolta le norme dell’ordinamento Ue si dilatano al punto da non essere più applicate.

Ad esempio?

Nel 2003 per la Francia e la Germania era stata aperta una procedura per disavanzi eccessivi: si concluse tutto in un nulla di fatto. Tornando a noi, sono passati quattro anni e il Parlamento ha dovuto adottare un’altra risoluzione sempre ex art. 7.1 TUE e sempre nei confronti dell’Ungheria.

Insomma, questo vuol dire che in quattro anni non si è fatto nulla o quasi nulla.

Infatti. Comunque mi sembra positivo che il Parlamento abbia proceduto di nuovo sulla base dell’art. 7.1 del TUE e non del Regolamento 2020/2092 relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione.

Cosa significa?

In linea teorica, potrebbe voler dire che l’Unione si preoccupa realmente della tutela dello Stato di diritto come valore fondante del suo ordinamento e non solo in quanto funzionale a proteggere il bilancio unionale. Anche l’elenco delle violazioni che sono riportate nella Risoluzione è significativo: spaziano dal funzionamento dell’ordinamento costituzionale e del sistema elettorale, all’indipendenza della magistratura, alla libertà di espressione, compreso il pluralismo dei media, fino alla violazione del diritto alla parità di trattamento, di alcuni diritti di libertà e di quelli economici e sociali. Mi sembra però che dopo aver incardinato correttamente il problema della violazione dello Stato di diritto da parte dell’Ungheria, proprio leggendo il lungo testo della Risoluzione adottata ieri emergano alcuni profili che suscitano più di qualche perplessità.

Quali sono?

Su tutti, mi sembra che i più gravi siano due. In primo luogo il riferimento alla mancata adesione da parte dell’Ungheria alle sanzioni adottate dall’Ue nei confronti della Russia, che metterebbe a rischio l’intera Unione.

E il secondo?

È l’invito rivolto alla Commissione di non approvare il Pnrr ungherese fino a quando l’Ungheria non avrà “pienamente rispettato tutte le raccomandazioni specifiche per Paese del semestre europeo in materia di Stato di diritto e finché non avrà eseguito tutte le sentenze della CGUE e della CEDU”.

Qual è la sua obiezione?

In entrambi i casi mi sembra una posizione estorsiva e ricattatoria che non fa onore al Parlamento europeo. Si usa il meccanismo dell’art. 7 TUE e poi si applicano le sanzioni previste dal regolamento sulle condizionalità del Recovery Fund?

Che cosa è o sarebbe a rischio?

A mio avviso è a rischio la credibilità dell’Unione Europea e delle sue istituzioni. Continuiamo a far finta di non vedere che l’Ue cerca, con tutti gli strumenti giuridici a sua disposizione, di costringere gli Stati membri a fare solo ed esclusivamente ciò che decide lei. Il diritto europeo si insinua nelle nostre Costituzioni in maniera subdola, come in questo caso della tutela dello Stato di diritto.

Cosa può dirci invece della risoluzione parlamentare approvata?

Le risoluzioni parlamentari sono atti atipici – cioè non rientrano nell’elenco delle fonti del diritto europeo contenuto nell’art. 288 TFUE – che non hanno efficacia vincolante per i loro destinatari. Vengono approvate con l’obiettivo di promuovere l’adozione di atti vincolanti. Sono esortazioni particolarmente stringenti vista l’autorevolezza delle istituzioni che le adottano.

Perché l’europarlamento si appella al Consiglio Ue?

È la procedura prevista dall’art. 7 TUE sullo Stato di diritto, per cui il Parlamento può chiedere che il Consiglio “constati” che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2 TUE e quindi dello Stato di diritto.

Tra gli strumenti della Commissione di cui si invoca l’applicazione c’è il Regolamento sulle condizionalità di bilancio. Questo cosa comporta?

Come dicevo poc’anzi, mi sembra del tutto fuori luogo l’uso della procedura prevista dall’art. 7 TUE per chiedere alla Commissione di non approvare il Pnrr ungherese come se fosse stato utilizzato il Regolamento sulle condizionalità di bilancio. Il Parlamento europeo scrive che la Commissione è in ritardo, nonostante quest’ultima ad aprile abbia attivato ufficialmente la procedura prevista dal regolamento 2092 ed abbia avvisato l’Ungheria circa la propria intenzione di presentare una proposta di decisione di esecuzione del Consiglio, dandole comunque la possibilità di inoltrare le sue osservazioni. Insomma, la tutela dello Stato di diritto è stata funzionalizzata alla sana gestione finanziaria e alla tutela del bilancio dell’Unione, il che non risponde allo spirito dell’art. 7 del Trattato UE.

A chi tocca stabilire se l’Ungheria è o non è una “autocrazia elettorale”, come dice la risoluzione?

Questa è una domanda alla quale sembra facile rispondere ma in realtà non lo è. Perché i Trattati prevedono anche il rispetto dell’identità nazionale degli Stati membri insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale (art. 4 TUE), quindi se l’autoritarismo caratterizza l’identità nazionale di uno Stato membro si pone un problema serio di compatibilità tra l’art. 4 e il 7 del Trattato UE.

Ci sta dicendo che se uno Stato è per sua definizione e ordinamento “autoritario”, la Ue deve accettarlo così com’è?

Che la democrazia illiberale sia elemento caratterizzante l’identità nazionale dell’Ungheria lo proclamò lo stesso primo ministro ungherese e leader del partito Fidesz, Viktor Orbán, in un celebre discorso tenuto il 26 luglio 2014 all’Università di Băile Tuşnad, dove affermò che “il nuovo Stato che noi stiamo edificando in Ungheria è uno Stato illiberale, uno Stato non liberale, il quale non respinge i principi fondamentali del liberalismo come la libertà e i pochi altri che potrei elencare, ma non fa di questa ideologia l’elemento centrale dell’organizzazione statale, ma applica al suo posto un approccio specifico, nazionale, particolare”.

Quindi?

Paradossalmente, bisognerebbe valutare se l’illiberalità o altre violazioni dello Stato di diritto siano o meno parte dell’identità nazionale di uno Stato membro e, in caso affermativo, accettarle in quanto tali. Con questo non voglio dire che in Ungheria vada tutto bene, anzi.

Le ipotetiche procedure sanzionatorie che l’Ue potrebbe attuare sono legittime?

Sono legittime perché previste da norme giuridiche dell’Unione, ma il rischio che invocando la tutela dello Stato di diritto si amplino oltre il consentito le competenze dell’Ue è altissimo. L’Europa grazie alla possibilità di interpretare estensivamente le norme del Trattato si trova nella comoda situazione di chi non perde occasione per interferire con la politica interna degli Stati membri assumendo nella sostanza la veste di un soggetto a competenze tendenzialmente generali.

Quanto accade all’Ungheria ricorda lo scontro dell’autunno 2021 tra Ue e Polonia sempre sullo Stato di diritto. Allora era in questione la riforma polacca della giustizia e il primato della Corte costituzionale polacca. E adesso?

Che la Polonia abbia un governo di estrema destra è incontrovertibile, ma mi sembra altrettanto incontrovertibile che l’ordinamento europeo, così com’è, deve incontrare dei limiti fissati a livello nazionale, che gli impediscano di travolgere tutto il sistema di valori, principi e diritti fondamentali su cui si basano le attuali Costituzioni democratiche. Se uno Stato membro è governato da un partito di estrema destra legittimamente eletto non è questione su cui può intervenire l’Unione.

Con l’Ungheria siamo davanti a un’operazione prettamente politica?

Sicuramente la politica e le lobbies in Europa sono sempre molto potenti. Lo dimostra il fatto, tanto per fare un esempio, che anche l’Italia “fa ampio uso dei suoi poteri di emergenza, anche in settori non connessi alla pandemia di Covid-19” che è una delle accuse mosse all’Ungheria per far valere la violazione dello Stato di diritto. Però nei confronti dell’Italia non è stata attivata alcuna procedura ex art. 7 TUE. Eppure, sappiamo bene che nel nostro Paese l’emergenza ha legittimato una serie di misure altrimenti impossibili da adottare.

Un altro esempio?

Anche in Italia sarebbe “necessario affrontare le difficoltà strutturali cui i rom sono confrontati in tutti gli ambiti della vita pubblica e privata, tra cui l’istruzione, l’occupazione, gli alloggi e l’accesso all’assistenza sanitaria”, ma a noi nessuno dice niente, mentre questa è stata una delle obiezioni mosse all’Ungheria sul rispetto delle minoranze.

Delle violazioni polacche non si è più saputo nulla. Dobbiamo pensare che l’attivismo atlantista di Varsavia sia servito a condonare per “meriti sul campo” il debito della Polonia in fatto di diritti e “nuovi diritti”?

È molto probabile che sia così.

Anche l’Italia rischia di incorrere, attraverso un esposto sullo Stato di diritto, al medesimo algoritmo politico già collaudato su Ungheria e Polonia?

Ripeto, anche noi abbiamo fatto cose extra ordinem, quando non addirittura contra ordinem, ma finora nessuno ci ha detto nulla. Vedremo cosa accadrà se alle prossime elezioni politiche dovessero vincere partiti non graditi all’Ue. Il rischio che vi sia una pesante strumentalizzazione è molto alto.

(Federico Ferraù)

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