L’Economic Outlook dell’Ocse è stato visto come un ulteriore riconoscimento del buon stato di salute dell’economia italiana, che quest’anno crescerà più di quella dell’Eurozona, e del nostro continente, che nel 2024 farà meglio degli Stati Uniti. Ma Gustavo Piga, ordinario di Economia politica nell’Università di Roma Tor Vergata, ribalta questa lettura: «Il rapporto dell’Ocse tratteggia un quadro preoccupato per i destini del mondo in termini di capacità di fronteggiare le svariate sfide che si pongono. Si tratta di un quadro pessimo per il nostro continente e per il nostro Paese. I livelli di ambizione sono minimali e questo inciderà sulle future generazioni. Non ci rendiamo conto che ci stiamo giocando tanto su questo fronte, probabilmente lo capiremo solo quando qualcun altro, fuori dall’Ue, sceglierà per noi quale futuro dobbiamo vivere. Qualsiasi narrazione imbellettata non può eliminare la potenza che i dati hanno».



Ma i dati dell’Ocse dicono appunto che l’Italia quest’anno crescerà più dell’Eurozona (+1,2% contro +0,9%) e che quest’ultima nel 2024 farà meglio degli Stati Uniti (+1,5% contro +1%)…

Dopo quello che è successo a seguito di un evento così dirompente come il Covid, non si può non tenere conto del 2020 nel valutare le performance economiche delle varie aree geografiche. Chi guarda solo all’ultimo miglio sbaglia: bisogna guardare tutto il percorso.



E cosa dicono in questo senso i dati dell’Ocse?

A livello globale, tra il 2020 e il 2023 l’economia crescerà dell’8,7%. La Cina, malgrado i messaggi che parlano di una sua potenziale crisi, mantiene la sua dinamicità, tanto che in quattro anni il Pil salirà del 20%. Nello stesso arco temporale, gli Stati Uniti faranno registrare un +6,2%, mentre l’Eurozona un +3,2% e l’Italia sarà sotto tale dato. Il fatto che oltreoceano ci sarà una crescita praticamente doppia non può non interrogarci, tanto più che stiamo parlando di due aree che hanno cercato con vari piani straordinari, come il Next Generation Eu e l’Ira, di ovviare alle difficoltà. Evidentemente qualcosa negli Usa sta funzionando, in Europa meno e in Italia, che pure è la principale beneficiaria del Recovery fund, ancora meno.



A cosa si deve questa differenza tra Eurozona e Usa?

Non mi pare che possiamo attribuirla a fattori immediati di politica industriale, che normalmente dispiega i suoi effetti nel medio periodo, né credo sia dovuta a una diversa politica monetaria. La differenza sta tutta nella gestione del più potente strumento di politica economica, vale a dire la politica fiscale. Le azioni europee in questo campo ci condannano a diventare economicamente, e dunque politicamente, la parte debole del mondo, nonostante la voglia di influenzare il resto del pianeta coi nostri valori. Il problema dell’Europa è che non riesce ad attuare la politica fiscale appropriata.

Cosa fanno gli Stati Uniti di diverso dall’Europa?

Negli Stati Uniti si prevede che tra un decennio il deficit si assesterà intorno al 7% del Pil e non mancano economisti, come Larry Summers, che prevedono sarà ancora più alto viste le sfide che dovranno affrontare gli Usa nei prossimi anni. Queste proiezioni danno alle imprese, agli operatori economici un quadro chiaro di quello che sarà il supporto della mano pubblica americana al settore privato. In Europa, invece, le proiezioni le facciamo a 3-4 anni e molto, molto più austere, non capendo che in un momento di così grandi sfide ambientali, sociali e militari c’è un bisogno immenso di una politica fiscale espansiva. E questo è tanto più vero per quelle aeree strategiche dell’Eurozona che hanno incontrato più difficoltà negli ultimi anni come l’Italia. Anche l’Ocse conferma che la politica fiscale dell’Italia rimane austera, sebbene utilizzi il termine “restrittiva”.

Secondo l’Ocse, si tratta di una politica fiscale “appropriata”.

In questo l’Ocse sbaglia potentemente. Sappiamo bene che l’austerità di cui si parla per l’Italia non porterà il debito su Pil ad abbassarsi. Si dovrebbe invece prendere atto che un Paese così importante e strategico nel contesto occidentale come il nostro deve essere autorizzato ad attuare politiche per la crescita e quindi per la stabilità del rapporto debito/Pil. Il che significa anche ovviamente pretendere che l’Italia metta in campo tutti gli strumenti che possono portare a una buona spesa, a differenza di quel che sta avvenendo con il Pnrr, in particolare una riforma della Pa che non vuol dire cambiare le procedure per i concorsi pubblici, ma avere l’ambizione di rendere scintillante la Pubblica amministrazione così da favorire gli investimenti. È evidente, però, che tutto questo, al di là delle responsabilità italiane, non è possibile con una politica fiscale come quella che anche all’interno del Pnrr chiede politiche austere di riduzione del deficit.

Secondo l’Istat, la crescita dell’Italia sia nel 2023 che nel 2024 sarà trainata dai consumi. Cosa ne pensa?

In questa fase di così crescente austerità e di erosione dei salari a causa dell’inflazione non si può scommettere su un modello di crescita basato sulla domanda interna. Occorre in primo luogo rivedere i contratti di lavoro in modo che tengano conto del rialzo dei prezzi, così da ridare potere d’acquisto alle famiglie. Se poi la domanda pubblica continuerà a decrescere in termini reali non solo via stipendi, ma anche tramite acquisti di beni e servizi, quale speranza di crescita della domanda interna può esserci? In ultimo, se non si crea un ambiente di ottimismo pervasivo, cosa difficile da fare con politiche austere, è davvero arduo pensare di trasformare i risparmi degli italiani in consumi.

(Lorenzo Torrisi)

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