Le repressioni nello Xinjiang da parte della Cina ai danni degli Uiguri sono riconducibili a un “atto di genocidio”: lo stabilisce uno studio pubblicato dall’Australian Strategic Policy Institute (Aspi), che rileva come ci sia stato uno stretto controllo delle nascite da parte del Paese del Dragone all’interno della regione autonoma, con conseguente crollo delle stesse, arrivate di fatto a dimezzarsi nel periodo di tempo compreso tra il 2017 e il 2019 fra i membri di quest’etnia turcofona, con il tasso di natalità sceso di 48,74 punti percentuali.



Secondo quanto riportato dallo studio e riferito in Italia dal quotidiano “Avvenire”, la Cina avrebbe portato avanti questa sua battaglia a suon di multe e sanzioni, con annessi internamenti extragiudiziali, contro le “nascite illegale”, al fine di stabilizzare e diminuire il totale complessivo dei parti all’interno della minoranza degli Uiguri. “La nostra analisi – spiegano gli autori della ricerca – accresce un precedente lavoro e fornisce una prova convincente che le politiche del governo cinese nello Xinjiang possano costituire un atto di genocidio”.



UIGURI, CROLLO NASCITE “PER COLPA DELLA CINA”

Gli Uiguri sono dunque al centro di costanti repressioni da parte della Cina e gli studiosi affermano che serviranno indagini per “stabilire le intenzioni e l’elemento mentale di questo crimine”. Pechino, come riporta “Avvenire”, ha respinto le accuse al mittente per bocca del ministro degli Esteri, Hua Chunying: “Aspi inventa i dati e distorce i fatti”. Inoltre, secondo un’altra ricerca, condotta questa volta dall’Uyghur Human Rights Project, dal 2014 ad oggi la Cina avrebbe messo in carcere almeno 630 imam e altre figure religiose musulmane nella regione. Scrive Avvenire: “Molti dei religiosi arrestati sono stati accusati di propaganda estremista, chiamata a raccolta di folla per disturbare l’ordine sociale e incitamento al separatismo. Secondo le testimonianze dei familiari dei religiosi, le loro vere colpe sono la predicazione o la convocazione di gruppi di preghiera o semplicemente essere imam”. Una vera e propria persecuzione che pare non conoscere limiti temporali e che si protrae ormai da anni nei confronti di una minoranza sottoposta a continue vessazioni.

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