In seguito alla visita di Michelle Bachelet – prima volta dopo il 2005 in Cina di un Alto commissariato delle Nazioni Unite – spuntano testimonianze di foto e documenti riservati riguardo la persecuzione della minoranza islamica e di lingua turcofona degli uiguri nella regione nordoccidentale cinese dello Xinjiang. Si tratta di documenti per un totale di 10 gigabytes di materiale inedito che è stato pubblicato il 24 maggio da un consorzio di media internazionali inclusi BBC, Le Monde, Der Spiegel e molto altro. L’insieme di documenti e foto prende il nome di Xinjiang police files.



I documenti sono stati hackerati dai server della polizia e passati al ricercatore australiano Adrian Zenz. Questo già in passato aveva documentato la violazione dei diritti umani nei confronti di uiguri, kazaki e uzbeki. Queste minoranze etniche risiedono nel Far West cinese. Le foto risalgono al 2018 e sono relative ad uno dei “campi di rieducazione” di Teques, a ovest di Urumqi.



Cina, i terribili metodi dei campi di rieducazione

Come rivelano le fonti, in uno dei “campo di rieducazione” sono entrati almeno 2900 detenuti tra uiguri, kazaki e uzbeki. Questi sarebbero stati costretti all’indottrinamento cinese e al processo di sinizzazione imposto da Pechino. Nelle immagini è possibile vedere il trattamento a cui le minoranze islamiche sono sottoposte dal 2014. L’Onu e gli Stati Uniti accusano la Cina di violazioni dei diritti umani e di genocidio. Nelle foto, poliziotti con manganelli e detenuti sottoposti ad ogni tipo di tortura.

Secondo l’emittente britannica BBC, i prigionieri uiguri nella regione cinese dello Xinjiangc devono essere fucilati a vista se sentano di uscire dai campi di “rieducazione”. Secondo alcune organizzazioni di diritti umani, qui sono detenute almeno un milione di persone. Dai fascicoli ufficiali della polizia è emerso un protocollo cinese attuato nei campi che “descrive l’uso di routine di ufficiali armati in tutte le aree dei campi, il posizionamento di mitragliatrici e fucili di precisione nelle torri di guardia e l’esistenza di una politica di sparatorie per chi cerca di scappare”.