Germania, Francia, Italia, Olanda, Danimarca, Islanda, Norvegia, Irlanda: si allunga ogni giorno di più l’elenco dei paesi europei che hanno deciso di sospendere le somministrazioni del siero AstraZeneca in attesa della “sentenza” che domani emetterà l’Ema. La Gran Bretagna, invece, non fa un plissé e prosegue imperterrita con la sua campagna vaccinale: quasi 25 milioni di persone hanno già ricevuto almeno la prima dose (divisi più o meno a metà tra Pfizer e Astrazeneca), pari al 37% della popolazione. Ma come vivono gli inglesi questo stop precauzionale a un vaccino che loro considerano fatto in casa? “La Gran Bretagna scommette sulla sua ricerca e su quello che ha saputo fare in questi mesi” spiega da Londra Leonardo Maisano, ex corrispondente del Sole 24 Ore: “sulle vaccinazioni si procede spediti”.
Che risalto viene dato sui giornali inglesi a questo stop nei paesi europei, compresa la contigua Irlanda?
Non con la stessa enfasi, ma questo stop viene messo in forte evidenza. Talvolta anche con qualche intonazione di sospetto e di timore per un pregiudizio anti-britannico. Ma sono solo nuance che non cambiano la sostanza delle cose.
Nel Regno Unito sono stati registrati 500 decessi dopo le vaccinazioni, non solo AstraZeneca ma anche Pfizer. Non c’è preoccupazione o allarme nella popolazione?
Nessuna preoccupazione, ma molta speranza.
Perché i risultati in termini di contrasto alla pandemia e di calo dei contagi e dei ricoveri sono molto incoraggianti?
I numeri sono clamorosamente cambiati in tutto il paese: le ospedalizzazioni sono precipitate, il numero dei morti è fortemente ridotto e i nuovi contagi sono una frazione di quelli antecedenti alla campagna vaccinale. Un paese che sulla strategia Covid aveva sbagliato sempre la tempistica dall’inizio della pandemia fino al terzo lockdown, a dicembre, all’improvviso ha fatto la cosa giusta con i vaccini: avendo condizioni particolarmente favorevoli grazie al fatto di poter produrre AstraZeneca praticamente in casa, ha iniziato in forte anticipo anche ad acquistare le dosi di Pfizer, Moderna e Johnson&Johnson. Ha scommesso tutto sulla vaccinazione, nella consapevolezza, in questo caso corretta, che solo una campagna di somministrazioni efficiente può far sentire al paese che l’uscita dal tunnel è a portata di mano.
Il paese è ancora in lockdown dalla fine di dicembre? E come lo stanno vivendo gli inglesi?
Sono abbastanza stanchi, visto che i ristoranti e i pub sono chiusi. Si vede sempre meno gente con la mascherina, anche perché ci sono sempre più inglesi vaccinati. C’è la percezione di un’uscita accelerata dalla crisi e tutti aspettano le parole che Boris Johnson pronuncerà a inizio aprile.
Cosa succederà nei primi giorni di aprile?
Johnson, che si è dato un timing per uscire progressivamente dall’emergenza Covid, dovrà annunciare il cambio di strategia e si presume che coinciderà con un forte abbassamento della guardia. Ma non va dimenticato che in Gran Bretagna c’è sempre il rebus sulla dose di richiamo. Si è infatti scelta la strada della prima vaccinazione a tappeto, rinviando i tempi della seconda dose, che viene somministrata dopo 10-12 settimane. Per il vaccino AstraZeneca il richiamo è opportuno che venga effettuato un po’ più in là; per Pfizer e Moderna è un’incognita.
Nei mesi scorsi Boris Johnson è stato spesso criticato per la gestione della pandemia. Che giudizio dà l’opinione pubblica britannica alla sua politica dei vaccini? Le sue rassicurazioni su efficacia e sicurezza del vaccino AstraZeneca fanno presa sui cittadini? La sua popolarità è in risalita?
Sì, è senza dubbio in risalita rispetto al trend fino a dicembre, quando era arrivato ai minimi. Gli inglesi apprezzano le sue mosse sulla campagna vaccinale.
AstraZeneca è un’azienda anglo-svedese che produce un vaccino studiato con l’Università di Oxford. C’è chi dice che questa sospensione sia dettata più da ragioni politiche che scientifiche, cioè che si tratti di una sorta di ripicca della Ue, Germania in testa, verso Londra per la vicenda Brexit. Che ne pensa?
Personalmente non voglio credere a uno scenario del genere, non penso che sia possibile una ripicca sulla pelle di milioni di persone: mi sembra una follia della politica.
Ma è una tesi che trova fondamento fra i mass media e gli opinionisti britannici?
Questa tesi si può cogliere e può emergere in certe battute da bar qua e là in un paese come la Gran Bretagna, che si sente sempre al centro del mondo e che si ritiene il grande tessitore dei destini dell’universo, sebbene oggi con la Brexit sia diventato qualcosa di più piccolo e di relativamente meno influente rispetto a prima. Ma sui giornali di qualità non si leggono commenti a sostegno di una ipotesi del genere.
Che segni ha lasciato sul tessuto economico la crisi legata all’emergenza Covid? Ha colpito soprattutto la City o tutto il paese?
In Gran Bretagna la manifattura ha un peso specifico relativo rispetto ai servizi. Però ha colpito duro, come mostra la contrazione storica del Pil. Il calo sarà pesante, ma il rimbalzo si prevede rapido e robusto.
Oggi gli inglesi sono più preoccupati della pandemia, della crisi economica o della Brexit, alla luce anche della causa che l’Unione Europea ha intentato nei confronti di Londra?
La Gran Bretagna è un paese molto pragmatico e molto attento alle dinamiche economiche. Al di là della tragedia umana del Covid, gli inglesi sono concentrati soprattutto sulla ripresa economica. Poi, dire che cosa farà da zeppa alla ripresa, se sarà più il mondo post-Brexit o il nuovo mondo post-Covid o il loro combinato disposto, è difficile. Di sicuro gli inglesi alla Brexit si erano un po’, anche se non troppo, inevitabilmente preparati. Al Covid no. Ma il ritorno alla normalità post-Covid è più immaginabile delle conseguenze sotterranee post-Brexit, legate a nuove norme e regole che rendono alcune attività troppo complicate e meno convenienti.
(Marco Biscella)
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