Ieri Saxo Bank è salita agli onori della cronaca dopo aver concluso in un report che la Gran Bretagna somiglia sempre di più a “un Paese con un’economia emergente” come l’India o il Brasile, l’Egitto o le Filippine. Tra le caratteristiche che la Gran Bretagna ha in comune con i Paesi emergenti rientrano l’instabilità politica, le interruzioni delle forniture di beni, la crisi energetica e un’inflazione galoppante. L’unica caratteristica che per il momento separa Londra da un Paese emergente è la crisi valutaria.
Per usare le parole di Saxo Bank, “quello che non ha fatto la Brexit da sola è stato ottenuto dalla Brexit insieme al Covid e all’inflazione elevata. L’economia inglese è a pezzi”. La banca continua scrivendo che un lavoratore che è entrato nel mercato del lavoro nel 2009 oggi affronta “un’economia di salari deboli, nessuna prospettiva di acquistare una casa, due anni di socializzazione persi a causa del lockdown, bollette e affitti oscenamente costosi e oggi una lunga recessione. Questo porterà a ulteriore povertà e disperazione”.
Quello che Saxo Bank dice della Gran Bretagna è sostanzialmente vero per tutta l’Europa continentale. L’inflazione è ai massimi degli ultimi 40 anni e anche se dovesse rallentare rimarrebbe comunque a livelli sostenuti, la valuta, si pensi all’euro, si indebolisce, le catene di fornitura saltano e i salari o il mercato del lavoro sono strutturalmente condannati a non tenere il passo dei costi.
Comprare casa è un miraggio per molti degli ultimi entrati sul mercato del lavoro, le bollette sono salite di quasi il triplo rispetto all’anno scorso e l’inverno non è ancora iniziato. Il paragone fatto da Saxo Bank sembra azzardato o esagerato semplicemente perché persiste la convinzione che gli sviluppi in atto siano temporanei e le loro conseguenze destinate a rientrare. Invece è avvenuto un cambio di paradigma di cui si avvertono le prime avvisaglie e che ha le conseguenze descritte da Saxo Bank che “appiccica” alla situazione attuale una definizione calzante.
La principale questione politica, nel senso più ampio del termine, è che si continua ad assumere che ci si possa permettere i lussi di un Paese con un’economia matura e benestante. Si finge che non sia successo niente e si continua con la transizione energetica, norme ostili all’impresa, nella convinzione che l’industria sia scontata a prescindere dal contesto, un apparato burocratico immutato nella dimensione e nei costi e così via.
Se si prendesse coscienza che l’Italia, per esempio, è tornata un Paese in via di sviluppo si potrebbe onestamente intavolare un dibattito su cosa serve per tornare al benessere perduto; un benessere che oggi continua in modo sempre più precario solo per i risparmi, conti correnti e case, che vengono mangiati da un’inflazione galoppante su cui le banche centrali possono poco.
La rottura delle catene di fornitura globale che avevano garantito prodotti a bassissimo costo fatti con norme ambientali e tutele lavorative inesistenti non è temporanea. L’impossibilità di approvvigionarsi di petrolio e gas economici russi durerà tanto quanto la guerra iniziata con la Russia a meno di un cambio di approccio che oggi sembra impossibile. Prendere coscienza di quello che è successo è condizione necessaria per provare a ribaltare la situazione. Continuare ad assumere, contro ogni evidenza, che non è successo niente e che siamo ancora un Paese ricco e sviluppato, senza gas o elettricità, è pericoloso economicamente e ancora di più socialmente.
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