LONDRA — L’attacco terroristico a London Bridge ha imposto una breve pausa alla campagna elettorale, che è ripartita domenica. Sarà interessante capire come questo incidente – e il tema della sicurezza in generale – peserà sugli ultimi giorni prima delle elezioni.

Tra conservatori e laburisti sono scattate le accuse appena è emerso che il terrorista di London Bridge, che venerdì  ha ucciso due persone e ne ha ferite diverse prima di essere ucciso dalla polizia, era già stato condannato per terrorismo ma era uscito di prigione un anno fa. Condannato per appartenere a una cellula che s’ispirava ad Al Qaeda e che complottava di mettere bombe in diversi luoghi a Londra e a Stoke-on-Trent e di reclutare jihadisti da inviare in campi d’addestramento, era riuscito a scontare solo pochi anni dopo aver fatto appello e quindi – a piede libero – partecipava a un programma di riabilitazione e reintegrazione di condannati che includeva anche un seminario organizzato dall’Università di Cambridge a London Bridge. Proprio lì, nella sala conferenze, durante un workshop di “scrittura creativa” è cominciato l’attacco con due coltelli e sono state uccise due persone.



I laburisti hanno accusato il governo per il rilascio anticipato di un uomo considerato talmente pericoloso da essere messo sotto il regime dell’Imprisonment for Public Protection, che si applica a individui ritenuti pericolosi proprio per prevenirne la liberazione. Ma grazie a una legge introdotta a suo tempo dal governo Labour, contro cui i conservatori hanno puntato il dito, è possibile per i condannati – terroristi compresi – avere rivista la propria pena e lasciare il carcere dopo averne scontata solo la metà.



Insomma, nel caso del terrorista di London Bridge il rilascio era avvenuto automaticamente per legge. Una legge che, comunque, in nove anni di governo, i conservatori non si sono preoccupati di cambiare. Il vero problema, dice chi lavora nella giustizia, è la mancanza di risorse e fondi per la de-radicalizzazione, il monitoraggio nel periodo di prova e la riabilitazione.

Del resto, illudersi che prigionieri radicalizzati come sono coloro che hanno commesso o aspiravano a commettere atti terroristici rinneghino la loro ideologia nel giro di qualche anno, magari grazie a un programma di riabilitazione, vuol dire non conoscere a fondo il fenomeno del terrorismo e le sue motivazioni.



Sulla scia di quanto accaduto la scorsa settimana, il premier Boris Johnson ha ordinato una revisione urgente delle licenze di persone in carcere per crimini di terrorismo. Il leader dell’opposizione, Jeremy Corbyn, ha invece criticato i tagli di fondi e risorse.

I sondaggi continuano a dare i conservatori in testa, con uno stacco dai laburisti che però sembra ridursi sempre più. A meno di due settimane dal voto, c’è ancora spazio per improvvisi spostamenti degli elettori verso una parte o l’altra. Sono le elezioni più volatili che il Regno Unito abbia mai avuto.

Restano possibili questi scenari: maggioranza ai conservatori per formare un nuovo governo e consentire un rapido iter della legge sulla Brexit; maggioranza ai laburisti con Corbyn che diventa primo ministro e cerca di modificare in versione soft l’accordo per la Brexit, mentre avvia una politica socialista per l’economia; nessuna netta maggioranza e quindi il problema di un hung Parliament, con l’impossibilità di prendere rapide decisioni e conseguentemente di fare la Brexit a gennaio.

Quanto alla campagna elettorale, la principale differenza tra i grandi partiti è che i conservatori hanno puntato sulla Brexit, sull’uscita dall’Unione Europea in tempi brevi, mentre i laburisti su misure popolari quali il cambiamento del regime fiscale (più tasse per i ricchi e le imprese), la rinazionalizzazione di ferrovie, poste, energia ed acqua, e l’aumento del 5% dei salari dei lavoratori del settore pubblico. Sulla Brexit Corbyn ancora non prende posizione, nel caso di un referendum, ma promette una rinegoziazione dell’accordo in modo da preservare lavoro, diritti e ambiente, allineamento con l’Europa sul mercato unico e un secondo referendum per approvare l’accordo.

In comune, laburisti e conservatori hanno la promessa di una politica di spesa. Per entrambi, l’austerity è alle spalle. Nei loro manifesti hanno promesso grandi investimenti nei servizi. Fiumi di denaro pubblico. A partire dalla sanità, dove entrambi intendono investire miliardi di sterline. Ma dove troveranno improvvisamente tutti questi soldi?

I governi hanno solo due modi per trovare i fondi necessari a finanziare servizi e riforme: aumentare le tasse o aumentare il debito del paese continuando a prendere in prestito denaro. Alla gente, che stupida non è, appare sempre più chiaro che si dovranno pagare più tasse.

Alcuni giorni fa, la conferma è arrivata dagli economisti dell’Institute for Fiscal Studies (Ifs), secondo i quali né i conservatori, né i laburisti stanno proponendo dei piani di spesa “credibili”. Il Labour, ha detto l’Ifs, non sarebbe in grado di attuare gli incrementi di spesa che ha promesso. E per i Tories ci sono alte probabilità che si trovino a spendere di più di quanto promesso nel manifesto elettorale. La conclusione del direttore dell’istituto di ricerca, Paul Johnson, è che nessuno si sta comportando onestamente con gli elettori.