“Essere giovani è tremendo”. Una pugnalata al cuore, un colpo di fucile, il grido di dolore di chi ha perduto la strada o forse non l’ha mai trovata ma sa che esiste da qualche parte e ne sente nostalgia. L’SOS lanciato dal pulpito del più importante quotidiano italiano, mica robetta di provincia. Ultimo, all’anagrafe Niccolò Moriconi, cantautore italiano esploso a Sanremo 2018, a ventotto anni ha ormai lasciato alle spalle l’età che un tempo si diceva della “spensierata giovinezza” e che oggi è per tanti ragazzi la più difficile, incerta, a volte insopportabile.



L’intervista rilasciata al Corriere della Sera pochi giorni fa è passata sotto il silenzio prevalente dei mass media, impegnati ad esaltare il vuoto di tanti cantanti suoi coetanei che con la scusa di abbattere miti e di andare controcorrente finiscono col vivere più uniformati degli altri. Ultimo – un nome d’arte che non sembra essere stato scelto a caso – ha deciso di percorrere la strada inversa mostrando un coraggio che, comunque si evolva la sua carriera, gli va riconosciuto. Al suo “essere giovani è tremendo” non fa seguire la trita litania del “tutto è uguale a tutto” propria d’una società che ha rinunciato alla fatica dell’impegno nel distinguere il bene dal male. Incalzato da Aldo Cazzullo, sputa subito il rospo che deve avere in gola da tempo: “Non conosco nessun ragazzo della mia età che vada a votare, e nessuno che vada in chiesa”. Capito la novità? Non avere “punti di riferimento” significa non trovare più nella politica e nella religione gli appigli giusti cui aggrappare la propria quotidianità e darle un senso.



Una bomba lanciata nel mare dell’ipocrisia giovanilistica rampante (quanto maggioritaria è difficile dire), dell’appiattimento valoriale in cui è sprofondata la società del tutto-e-subito. Un sasso buttato scientemente nello stagno dell’immobilismo culturale da un giovane, uno di quelli che riempiono gli stadi con i loro concerti e diventano miti per ragazzine e ragazzini in cerca anch’essi di un significato che non trovano. “Siamo stufi di questa spaccatura tra destra e sinistra. Immagini quale effetto avrebbe un politico che dicesse: io non scelgo né la destra né la sinistra. Scelgo l’alto”. Dice proprio così, l’alto. Gli mancano una r e la A maiuscola, ma il senso è identico, la voglia di guardare sopra le meschinità, le droghe di ogni genere, le birre – o peggio – scolate una dopo l’altra in discoteca, il sesso venduto e comprato senza guardare in faccia chi hai di fronte, i soldi facili e facilmente spesi, i like consultati con la famelicità di chi vi fa dipendere la realizzazione della vita.



Una frecciata alla Schlein (“a volte fatico a capire di cosa parla”), una alla Meloni (“non la sento affrontare ciò che sta a cuore ai giovani”), una terza proprio ai social che fanno tanto “giovane” (“ti anestetizzano, ti stuprano il cervello”), una quarta alle proteste quasi tutte filopalestinesi (“non impugno la bandiera palestinese come non impugno quella di Israele, perché non è una partita di calcio”) non devono essere scambiati per qualunquismo, ma considerati per il desiderio di smetterla con gli slogan, le posizioni ideologiche, le false promesse. E la Chiesa? Ce n’è anche per lei (“puoi restarne deluso”) ma senza chiusure preconcette: “Sono sempre alla ricerca. Ho bisogno di credere, sento una grande fede dentro”. Niente di più preciso, ma può bastare.

Smettiamo di lisciare il pelo ai giovani dicendo loro che tutto va bene (la scuola, in questo, ha responsabilità educative enormi), ma anche di subissarli con giudizi negativi che non producono altri effetti se non quelli di rinchiuderli ulteriormente in una sorta di riserva indiana. Ascoltiamo invece tutti gli Ultimo che si nascondono fra loro. E mostriamo che una via per non sentirsi ultimi esiste.

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