Vista la prolungata assenza delle performance dal vivo, il tema dei concerti in streaming è molto caldo, ma al tempo stesso è avvolto da una grande confusione. Il fraintendimento è all’origine, ed è dovuto all’ambiguità del termine LIVE, che come è noto, può essere inteso come realizzato dal vivo, ma anche come trasmesso in diretta – ma può essere trasmesso in diretta anche qualcosa di già registrato… – oppure entrambe le cose insieme, semplicemente, come un concerto: fruito mentre avviene.
La faccenda sembrerebbe semplice: nessuno, in tempi normali, sarebbe andato ad un concerto pensando di andare a vedere un film registrato giorni o mesi prima, a meno che non fosse stato dichiarato. Come pure nessuno sarebbe andato allo show di un cantante, che ne so, sapendo di essere 2000 persone in un posto che ne contiene 300 o 1000, insomma meno dei biglietti venduti. Mi insegnano amici più intelligenti di me che in anglo-italiano corrente si chiama “cattivo business” o anche “overbooking”.
Bene, con l’ultimo evento in streaming di Ultimo è avvenuto veramente di tutto: linee che saltano, connessioni insufficienti, ma non tutto è ascrivibile a mero problema tecnico – che in ogni caso non avrebbe dovuto verificarsi. Un evento registrato giorni prima è stato ingannevolmente fatto passare come evento in diretta – ecco l’ambiguità – e (il che è ancora più grave) venduto come tale. L’insurrezione dei fan è stata importante, ed in tutto ciò ancora più spavaldo è stato l’artista (non è poi una grande novità: ve lo ricordate ad insultare la sala stampa di Sanremo perché non aveva vinto lui?), pronto ad esaltarsi per aver fatto crashare il sistema per le tante connessioni. Come se non lo sapesse prima, avendo fatto una vendita di biglietti. O come se su un aereo con 100 posti si facessero salire 200 persone e poi l’aereo non riesca a partire (per non dire parta e poi precipiti, Dio ce ne scampi). In entrambi i casi: oh che gioia!!
Tirando le fila: un concerto registrato viene venduto come un evento in diretta, ad un numero di spettatori che, probabilmente, saranno troppi e così molti non riusciranno a partecipare. Poi si corre ai ripari, rendendo il “concerto” fruibile per più tempo e vantandosi di aver fatto il botto.
Beh, intanto qualcosa del genere è accaduto anche ad artisti di fama mondiale, come per esempio Nick Cave, che ha avuto analoghi problemi di connessione con il suo show in solitaria – pianoforte e voce – anch’esso peraltro registrato – realizzato all’Alexandra Palace di Londra lo scorso luglio. Ma non c’è una maniera di lavorare bene, di far andare le cose come devono andare?
Ecco l’evento, il case study, l’esempio da seguire: la cantautrice britannica Laura Marling si esibisce il 6 giugno in due concerti (uno per il Regno Unito, l’altro per il Nordamerica) alla Union Chapel di Londra. Il suo management investe, affittando la venue e caricandosi i costi di produzione video. Union Chapel ha una capienza massima di 900 posti (la Marling ci ha suonato diverse volte in passato), l’organizzazione vende complessivamente 4500 biglietti ad una cifra di 13 euro l’uno. Non solo: quello era il tetto massimo di biglietti previsto, e così facendo si è reso al contempo l’evento esclusivo, facendo un sold out quasi triplo di quello possibile in due serate in presenza. Naturalmente nessun problema di connessione, piattaforma youtube, biglietti venduti ed accessi garantiti dalla società Dice, entrata con vigore nel mondo degli eventi in live streaming. Tutti contenti, gente che lavora, discreto ricavo, nessuna protesta.
Quindi la maniera di lavorare bene c’è, evidentemente occorre volerlo. Si potrebbero aggiungere molte altre osservazioni, permettetemene solo tre.
Uno, il concerto in streaming non è la sostituzione di un concerto reale.
Due, il concerto in streaming veicola lo stile, il cabotaggio, l’apparato produttivo che c’è dietro. La realtà aumentata di Billie Eilish, i grandi e costosissimi show di Dua Lipa o dei coreani BTS hanno apparati produttivi e distributivi in grado di sostenerne la diffusione e soprattutto non vengono pubblicizzati e venduti come eventi in diretta. In quel caso si può sì guadagnare tantissimo in un colpo solo (è questa poi la leva che fa lavorare male, il tutto e subito), ma a fronte di un cospicuo investimento e di una qualità – artistica e tecnica – ineccepibile.
Tre, una osservazione che devo all’amico cantautore ed appassionato di musica Francesco D’Acri, con cui ho spesso parlato di questi temi: qualunque tecnologia o è al servizio di una esperienza oppure ultimamente è una fregatura. Integro l’enunciato e completo per come la vedo io: la tecnologia è un mezzo e non un fine, e veicola quello che uno è. Laura Marling che si esibisce voce e chitarra è vera, è lei, fortissimamente lei. Ha un valore in sé e fidelizza i fan su quello, con una proposta onesta, artisticamente alta, organizzata a puntino. Dicono gli anglofoni che talvolta (spesso?) “less is more”. Ecco, impariamo ed evitiamo altre figuracce.