Mai come quest’anno una valanga di musica, sapientemente dispensata in ogni parte della città con la riapertura della storica location dell’Auditorium di San Francesco al Prato che si è aggiunto all’Arena Santa Giuliana, al Teatro Morlacchi e alla splendida location della Sala Podiani all’interno di quel gioiello rappresentato dalla Galleria Nazionale dell’Umbria (da non perdere la Madonna di Benois di Leonardo). Vedere le migliaia di persone che sabato sera affollavano Corso Vannucci per i concerti gratuiti la dice lunga sull’impatto economico e culturale che questo straordinario festival ha su Perugia e l’intera Umbria.



Un gran festival che stordisce ed ammalia con le variegate proposte che ogni anno consentono di fare il punto della situazione sul jazz e non solo. Ovviamente anche per questa edizione numerosi gli sconfinamenti in territori pop e rock, sempre graditi al pubblico. Record di incassi e di presenze (oltre 300.000 persone).



Fra i tanti grandi,  alcuni sono sembrati un po’ sfioriti, seppur ancora capaci di emozionare. Da ricordare le splendide chitarre di Robben Ford e George Benson, il concerto di Chick Corea con la sua Spanish Heart Band e Richard Bona protagonisti nella stessa serata. Le voci di Dianne Reeves al Morlacchi con il formidabile Romero Lubambo alla chitarra e l’altrettanto brava Diana Krall. Folta la presenza italiana, su tutti l’esibizione di Enrico Rava con il suo 80th Anniversary World Tour. Un grande, mai appariscente, mai presenzialista, con un controllo del suono incredibile, senza contorsionismi ed effetti elettronici con ancora tanta classe da vendere. Rava si è presentato in concerto con una formazione, dove accanto a giovani talenti come Enrico Morello alla batteria e Gabriele Evangelista al contrabbasso si sono confermati i talentuosi Giovanni Guidi al pianoforte e Francesco Bearzatti al tenore e clarinetto. Ecco scorrere brani composti da Rava come Lavori Casalinghi, Theme for Jessica, Ballerina, Le solite cose , proposto in trio con chitarra e sax, Interiors, Lulu e The Ferness Five. Gran successo per lui davanti ad un Morlacchi strapieno in ogni ordine di posti. Eccellente l’esibizione del sassofonista Charles Lloyd esibitosi al Morlacchi alla guida di un eccellente quartetto che ha visto protagonisti due notevoli chitarristi come Julian Lage e Marvin Sewell.



Grandissima l’affluenza all’Arena Santa Giuliana per Paolo Conte e il suo “50 years of Azzurro”. Il cantautore di Asti si è esibito accompagnato dalla sua impeccabile orchestra di undici elementi e, come un incantatore di serpenti, ha ammaliato il pubblico, portandolo nel suo mondo di milonghe e ritmi centro americani, passando in rassegna la gran parte del suo repertorio (Alle prese con una verde Milonga, Messico e Nuvole, Come di ,Gli impermeabili, Vieni Via con Me, Max). Padronanza di palco, con quel suo modo di cantare “un po’ così” ha riscosso un grande successo con il sold out da diversi giorni. Ancora oggi come tanti anni addietro, nonostante l’indubbia bravura e classe, lascia forse volutamente, una impronta effimera e decadente.

Grande protagonista del festival la batteria, che proprio all’Arena Santa Giuliana ha visto esibirsi nuovi maestri come Larnell Lewis degli Snarky Puppy, lo straordinario terzetto di batterie dei King Crimson, un imbarazzante Nick Mason dei Pink Floyd oltre ai forsennati batteristi di Kamasi Washington.

Senza ombra di dubbio i King Crimson con la loro esibizione a dir poco straordinaria, hanno preso posto nella speciale classifica delle più belle esibizioni negli annali del festival. Robert Fripp ha vietato foto, riprese audio e video (anche gli schermi del festival si sono limitati ad una sola immagine fissa, privando gli spettatori dei primi piani). Il grande musicista inglese, uno dei pochi geni nella storia del rock, ha dato il meglio di sé alla guida di una formazione straordinaria: da Mel Collins ai fiati presente nella formazione nel 1970, al chitarrista e cantante Jakko Jakszyk al quale sono state demandate le parti vocali un volta appannaggio dei grandi e purtroppo scomparsi Greg Lake, John Wetton e Bozz Burrell. In the Wake of Poseidon, Epitaph, 21st Century Schizoid Man, Starless ,si sono avvicendate accanto ai brani  dalla produzione degli anni ’90. Musica sempre attuale che alle radici rock ha sempre coniugato, musica classica, minimale, elettronica e jazz. Dei capiscuola unici e inimitabili. Grandissimo Toni Levin (basso, Stick, contrabbasso) che da giovanissimo fece parte dell’ultima sezione di contrabbassi di Stravinskij. Strepitosi i batteristi Pat Mastellotto (in gran serata), Gavin Harrison e Jeremy Stacey altrettanto bravo alle tastiere. A sovraintendere al di fuori e al di sopra, dalla sua postazione, Robert Fripp (chitarra, electronics, mellotron). Un concerto monumentale, di straordinaria bellezza, rafforzato dallo splendido impianto audio dell’Arena. Possiamo dire: io c’ero. Lunga Vita al re Cremisi!

Il concerto degli Snarky Puppy, attesissimo dai fan provenienti da ogni parti d’Italia ha un po’ lasciato con l’amaro in bocca. Settanta minuti senza bis era l’imperativo categorico anche per Kamasi Washington che con loro ha diviso la serata del 19 all’Arena. Nonostante il poco tempo a disposizione la band guidata da Michael League, ha dato dimostrazione delle sue incredibili potenzialità. Orchestrazioni e scaletta che variano da concerto a concerto, un line up in continuo cambiamento, consentono a League di ottenere sempre il meglio nelle esibizioni. Accanto agli intoccabili Mike Maher (tromba e flicorno) e Chris Bullock (sax), grandi protagonisti, il pianista inglese Bill Laurance che, con il nuovo arrivato Bobby Sparks (Hammond e tastiere) ha interagito da par suo, oltre alla sezione ritmica composta e dal bravissimo argentino Marcelo Wolosky e dal fenomenale Larnell Lewis alla batteria. Puntuale la chitarra di Bob Lanzetti. Presentati alcuni brani tratti dagli ultimi album CULCHA VULCHA e IMMIGRANCE ecco scorrere Even Us, Palermo, Bad Kids to the Back, oltre a Shofukan (da WE LIKE IT HERE del 2014) che ha chiuso l’esibizione. Grande band non a caso già vincitrice di ben tre Grammy, con un sempre crescente numero di fan in ogni parte del mondo composto per la gran parte da giovanissimi ed anche dai tanti appassionati che vedono nella loro musica la naturale evoluzione di band storiche come Weather Report e Pat Metheny Group. Gli Snarky Puppy in autunno saranno di nuovo in Europa (Germania, Olanda, Svizzera, Danimarca, Francia, Regno Unito) con l’attesissimo concerto del 14 novembre alla Royal Albert Hall a Londra.

Quanto a Kamasi Washington, del quale tutti parlano ammirati, riteniamo trattarsi di un grande abbaglio, creato ad arte. Pessima la band, rumorosa priva di finezze e controllo della dinamica. La musica non è esternazione di muscoli e di forza. Medesimo approccio, medesime trovate sceniche di anni addietro, tastierista imbarazzante, unica presenza rassicurante quella del padre del protagonista. Musica torrenziale, look da rivoluzionario centro americano (il bassista) sono lo specchietto per le allodole messo in atto.

In parte deludente la serata che ha visto sul palco Nik West (pessima come la sua band) seguita dal progetto Nick Mason’s Saucerful of Secrets. Il batterista dei Pink Floyd in questo tour ha voluto riproporre al pubblico i primi due album della storica band THE PIPER AT THE GATES OF DAWN (1967) e A SAUCERFUL OF SECRETS  (1968) quando il chitarrista Syd Barrett era ancora nel gruppo. Ascoltando il concerto ci si è resi conto di come questi due lavori abbiano influenzato certo rock inglese (punk) degli anni a venire. Purtroppo Mason ha mostrato parecchi limiti tecnici, lui che con il suo stile percussivo non è mai stato uno dei grandi della batteria inglese che all’epoca aveva in Ginger Baker e Jon Hiseman gli indiscussi maestri. In questi casi si è soliti essere indulgenti con questi vecchi grandi, ma anche i partner scelti, vedi Gary Kemp ex Spandau Ballett, inducono ad una più severa disamina. Non a caso Mason in questi anni si è dedicato maggiormente al suo amore per le Ferrari… Esibizione sufficiente ma nulla di più anche come produzione (il gruppo ha infatti largamente beneficiato del nuovo impianto luci del festival).

Sabato sera altro attesissimo concerto quello di  Thom Yorke leader dei Radiohead, band di culto, veneratissima e molto popolare con grande affluenza di pubblico. La voce stanca e strascinata di Yorke ha il suo indubbio fascino, specie se coniugata ad un massiccio uso di elettronica e sequenze . Con Yorke sul palco Nigel Godrich e Tarik Barri. Di grande effetto il light show che ha accompagnato l’esibizione. Grande e meritato successo per lui.

Ci piace infine chiudere questo articolo con un particolare e affettuoso saluto a Franco Fayenz che, vista la veneranda  età, non potrà più far parte dei giornalisti che da decenni seguono il festival jazz. A lui gli auguri di lunga vita.

Appuntamento per il prossimo Umbria Jazz andrà in scena dal 12 al 21 luglio 2020, preceduto dagli appuntamenti di Umbria Jazz Winter (28 dicembre-1 gennaio 2020) e Umbria Jazz Spring a Terni ( 9-13 aprile)